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Per una pedagogia dell’autoimprenditorialità

Pubblicato il: 03/09/2013 10:45:07 -


Già dall’Unione Europea l’invito per i giovani di oggi a dedicarsi ad attività lavorative indipendenti, a essere cioè imprenditori di se stessi per realizzarsi nel lavoro. Un cambiamento nei costumi sociali che può e deve perciò partire anche dalla scuola.
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L’educazione all’autoimprenditorialità costituisce uno degli obiettivi pedagogici più efficaci per la crescita personale e l’orientamento professionale, ma la nostra scuola mantiene le sue rigidità per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi, e ciò produce difficoltà di incrocio tra domanda e offerta di lavoro creando disoccupazione soprattutto nei giovani freschi di studi.
La crisi economica nella quale siamo ancora immersi, oltre che generare disoccupati, fa crollare la motivazione nei confronti della stessa formazione.

È da molto tempo che l’UE dice di spronare i giovani a dedicarsi ad attività indipendenti offrendo programmi che formino una professionalità non solo sotto l’aspetto tecnico, ma anche sotto il profilo imprenditoriale, agevolando la creazione di piccole e medie imprese in particolare cooperative.

Nel corso del mese di agosto 2013 il quotidiano la Repubblica ha pubblicato una serie di servizi sui giovani che ce l’hanno fatta, i quali cioè hanno realizzato uno startup di impresa e ora si sono inseriti con successo nel mercato del lavoro.
Sono giovani che hanno conseguito una formazione elevata, perché si sono resi conto che il realizzare un’idea innovativa richiede un forte investimento sul capitale umano; non solo sono rimasti in Italia, ma sono presenti un po’ in tutto il Paese, comprese le tanto marginalizzate regioni del Sud. Hanno trovato sostegni economici allo sviluppo delle loro imprese, ma soprattutto politiche pubbliche che anziché finanziare enti di formazione professionale sempre legati alle statistiche dell’esistente mercato del lavoro, hanno dato direttamente ai giovani la possibilità di realizzare l’idea.

Difficile ottenere qualcosa di innovativo se si guarda soltanto al lavoro che c’è e che viene a mancare per effetto della chiusura delle aziende tradizionali, e ancora meno stimolante è una scuola che pratica un orientamento legato alle opportunità lavorative e non centrato sulla persona e sullo sviluppo creativo.

Nel nostro ordinamento scolastico queste sollecitazioni sono presenti fin dalla scuola dell’infanzia. La pedagogia dell’autoimprenditorialità implica il superamento di un insegnamento essenzialmente astratto, l’assunzione di uno stile che aiuti i giovani ad acquisire autonomia nell’apprendere e la capacità di assumere conoscenze e competenze a partire dai problemi concreti.

Fin dalla più tenera età occorre sviluppare nel bambino la capacità di orientarsi e di compiere scelte autonome in contesti diversi, per arrivare alla consapevolezza di sé e delle proprie possibilità, all’autodecisione, all’uso delle conoscenze stesse sul piano personale e sociale. È con la scuola media che si parla di conquista della propria identità, di capacità di prendere decisioni realistiche nell’immediato e nel futuro, pur senza rinunciare a sviluppare un progetto di vita personale.

Con la scuola superiore il progetto orientativo raggiunge un punto culminante. Orientamento e riorientamento dovrebbero essere strategie educative della scuola stessa, cogliendo gli stimoli provenienti dall’esterno, per inserire nel predetto progetto di vita la pianificazione del futuro professionale. La capacità di auto-orientamento è frutto di esercizio che l’educazione deve saper guidare o correggere.

Scuola e azienda devono collaborare per far emergere nuovi talenti; progetti e curricoli si possono sviluppare in fabbrica, mentre le scuole stesse possono fungere, in base alle esperienze realizzate, da agenzie per l’impiego. L’introduzione dell’area di progetto da parte della Commissione Brocca e i più recenti ordinamenti sugli stages e tirocini, nonché le linee guida per l’istruzione e tecnica e professionale, hanno accentuato la flessibilità nell’organizzazione del curricolo, ma le routine scolastiche e la governance del sistema restano ancora legate a una gestione centralistica che non consente di arrivare, come in altri Paesi, a piani di studio veramente personalizzati e a un esercizio vero delle competenze e dei crediti tra scuola e lavoro, in modo da valorizzare creatività e volontà di realizzazione.

Chi ha saputo collegare strettamente le proprie capacità e interessi con i livelli di formazione sa che senza ricerca e sviluppo non si compiono passi avanti e la motivazione all’innovazione porta con sé l’esigenza del miglioramento continuo. Si tratta di investimenti per piccole e medie aziende ad alto contenuto tecnologico.

Educare gli allievi a essere imprenditori di se stessi in questa situazione in cui è molto difficile prevedere un modello durevole di attività e le prospettive economiche e occupazionali con le quali si potrà uscire dalla crisi, in cerca di futuro. I giovani hanno bisogno di essere formati ad avere fiducia in se stessi, a dimostrare capacità di iniziativa, di flessibilità ed elasticità mentale, di disponibilità al cambiamento.

Occorre promuovere la volontà di apprendere, la conoscenza di sé e dei propri punti di forza e di debolezza, la capacità di iniziativa utilizzando la logica necessaria per prendere decisioni e risolvere problemi, l’autodisciplina necessaria per comunicare e cooperare con gli altri per un compito comune e per valutare la propria prestazione.

Educare i giovani a “intraprendere” come veicolo necessario per la creazione anche di nuova occupazione o strumento per una qualità nuova dell’operare.

Nella prospettiva dell’autoapprendimento gli allievi assumono maggiori responsabilità nei confronti dei propri itinerari di conoscenza e vengono coinvolti a livello di:
• motivazione – forte spinta al raggiungimento dei risultati che gratificano la percezione di sé;
• autocontrollo – capacità di esercitare il controllo sui propri sentimenti, pensieri e comportamenti, così da adeguarli ad una valutazione realistica del contesto;
• modalità di assunzione dei rischi – tendenza ad intraprendere attività che comportano una forte esposizione personale;
• problem solving – capacità di risolvere in problemi in modo autonomo;
• gestione delle risorse umane – capacità di comunicare con gli altri e realizzare una relazionalità finalizzata al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Andrà verificato negli studenti il “tasso di imprenditorialità latente”. Tale valutazione dovrà osservare l’evoluzione dei tratti salienti tipici della personalità dell’imprenditore:
• l’ambizione che motiva a fronteggiare sfide;
• l’intensità, la continuità e la durata dell’impegno con cui si fronteggiano le sfide e si perseguono gli obiettivi;
• la sicurezza di sé, delle proprie capacità e della superabilità dei propri limiti attuali, trasformata e orientata in termini di autocontrollo;
• la capacità di gestire le relazioni con gli altri, influenzando i loro comportamenti;
• la capacità di “pensiero divergente”, come apprendere dalla propria esperienza concreta e dall’osservazione riflessa, mutare prospettiva nell’analisi dei problemi, elaborare risposte differenti dalla “norma”.

All’interno e all’esterno della scuola andrà curato un clima di progettazione continua e di collegamento permanente con il proprio contesto economico e sociale, per portare la scuola a essere un polo di diffusione di cultura imprenditoriale, introducendovi un sistema di formazione permanente al servizio e per la promozione della comunità locale.

Sul piano operativo si potrà mettere a punto un vero e proprio piano d’impresa, propedeutico all’avvio di un’attività autonoma, fornendo ai giovani strumenti per accedere a informazioni e servizi di carattere legislativo, tecnico, commerciale, fiscale, ecc.
Gli allievi andranno sollecitati a esplorare le varie fasi di creazione di un’attività autonoma, a partire dalle loro abilità di base e dalle loro attitudini.
Sarà opportuno fornire inoltre conoscenze sull’impresa e sul mercato del lavoro, metodologie e strumenti di pianificazione delle risorse finanziarie anche al fine di consentire una valutazione razionale dei punti di forza e di debolezza dell’idea imprenditoriale. Si dovrà quindi riuscire a redigere di un progetto di impresa in cui si dovranno valutare la congruità e la coerenza tra gli elementi fondamentali della stessa, alternando momenti teorici e di simulazione e momenti applicativi, di lavoro individuale e di ricerca di dati o informazioni, necessarie per la stesura del progetto stesso.

È interessante notare come tra coloro che ce l’hanno fatta si faccia strada quasi naturalmente una mentalità più attenta alle politiche di genere e con modalità più rispettose della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli dell’organizzazione familiare e delle esigenze dei figli.

La crisi ha in un certo qual modo scombussolato uno schema presente sia nei genitori sia nella scuola finalizzato al lavoro dipendente, che non stimola i giovani, come si è detto, all’intraprendenza; educare all’imprenditorialità significa formare a un’autonomia capace di agire sul piano professionale in condizioni di difficoltà, sia per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro, sia anche sul piano personale nei confronti di una socializzazione propositiva che vada oltre il binomio produttore-consumatore.

Occorre dunque costruire una proposta formativa da un altro punto di vista, quello appunto dell’autoimprenditorialità, per quanto riguarda la maturazione delle scelte e l’acquisizione delle competenze, mediante un percorso che per tempi di maturazione ed efficacia delle prestazioni possa coinvolgere anche gli adulti-genitori, essendo accertata l’influenza di questi ultimi sull’orientamento dei figli.

Altre notizie allarmanti vengono dalle associazioni di categoria delle piccole e medie imprese, secondo le quali all’uscita dalla crisi ci si troverà di fronte alla mancanza di ricambio negli imprenditori, il che significa, come si è visto, incidere negativamente sull’innovazione e la competitività. La scuola, mentre cerca di interpretare i valori proposti dall’esperienza produttiva, può contribuire essa stessa a mutare il costume sociale.

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Immagine in testata di imagerymajestic / Freedigitalphotos.net (licenza free to share)

Gian Carlo Sacchi

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