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Per una definizione di “capacità”

Pubblicato il: 27/10/2009 18:17:52 -


Maurizio Tiriticco prende spunto da un intervento di Enrico Maranzana a proposito del suo ultimo articolo per precisare quale significato dare ai termini di capacità, abilità, competenza, conoscenza, su cui regna spesso una gran confusione.
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Ho apprezzato il puntuale intervento di Enrico Maranzana sulle decisioni del CNPI, lette considerando anche le iniziative legislative dell’Aprea. Meno puntuali sono le sue considerazioni sulla questione delle capacità e del loro rapporto con le abilità. Non ne faccio un addebito a Maranzana perché su tali questioni la nostra legislazione, soprattutto quella secondaria, non solo non entra mai nel merito di questi concetti, ma crea solenni confusioni. Basti riflettere sulla “pensata” di certificare le competenze con i voti! Si danno veramente… i numeri!

Cerco di fare chiarezza e occorre fare un passo indietro. Quando in sede ministeriale si dovette varare il nuovo esame di Stato, ci si trovò di fronte alle vaghissime indicazioni della legge 425/97, che all’articolo 6 sosteneva la necessità di “dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite… tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. La vaghezza è data dal fatto che dare trasparenza a tre concetti di quella portata in termini di valutazione terminale non significa nulla e… significa tutto! Tutto perché si tratta di “cose” di per sé egregie e degne della massima attenzione! Nulla perché interventi valutativi a ventaglio su tre dimensioni così estese comporterebbero operazioni macchinose, inutili, ripetitive se non addirittura scorrette! All’aria fritta prodotta dal legislatore occorreva dare una dimensione operativa, e ciò fu fatto alla meno peggio con il Regolamento attuativo.

Così, all’articolo 1 del dpr 323/98 scrivemmo: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e creative acquisite”. In effetti, invece, si sarebbe dovuto scrivere chiaramente che l’esame si sarebbe concluso con l’accertamento e la certificazione delle competenze acquisite dal candidato. Ma si sarebbe anche dovuto indicare quali competenze avrebbero dovuto essere perseguite nei diversi percorsi quinquennali e certificate in sede di esame. Ma non fu scelta questa strada, anche perché sarebbe occorso un tempo non breve per individuare, definire e descrivere queste benedette competenze, le quali non se le possono inventare le scuole, ma debbono essere indicate a livello nazionale.

Così si adottò quel modellino di certificazione misero misero, centrato tutto sui punteggi finali ed assolutamente muto in merito alle competenze. Quel modellino, di cui al dm 450/98, aveva un carattere sperimentale e si intendeva adottato per gli anni scolastici 98/99 e 99/2000, perché si ritenne che in quei due anni una qualche lista di competenze la si sarebbe prodotta. Insomma, non si ebbe il coraggio di tagliare la testa al toro, di mandare a quel paese conoscenze e capacità le quali, per loro natura, non possono essere certificate, ed imboccare la via maestra della ricerca e della definizione delle competenze da certificare: e in due anni ce l’avremmo potuta fare! Ma l’incultura ministeriale in merito al concetto stesso di competenza e la sua proverbiale lentezza in ordine a decisioni non facili hanno avuto la meglio e quel modello misero misero ha assunto ormai carattere definitivo! Così, infatti, recita il dm 8/06! Insomma, all’improvvisazione della norma primaria si aggiunse l’improvvisazione del regolamento e a pagarne le spese sono stati… e sono i nostri ragazzi, in quanto i loro insegnanti non sono stati messi in condizione di certificare competenze perché non sanno quali sono né se le possono inventare! E una loro eventuale buona volontà non potrebbe mai sopperire a un adempimento che non può non avere una rilevanza nazionale, anche perché sia in Italia che in sede comunitaria non si possono “leggere” certificazioni non omogenee.

In tale pasticcio, qualcuno inventò che il trittico delle tre C poteva leggersi così: conoscenze come acquisizioni concettuali, culturali (il sapere); competenze come uso corretto e produttivo delle conoscenze acquisite (il saper fare); capacità come risorsa personale “terza”, che si esprime quando il soggetto, a fronte di una nuova situazione problematica, mette in gioco le conoscenze e le competenze acquisite, le modifica, le rinnova (il saper essere, grosso modo). In questa circolarità di operazioni, è evidente che la capacità acquista un valore alto, riflessivo, creativo, anche se, ovviamente, non è certificabile! Insomma, caro Maranzana, comunque la metti, tirando il canovaccio ora di qua ora di là, non possiamo dire di avere varato alla fine degli anni Novanta un esame di Stato credibile e gestibile! E l’Europa ci osservò paziente e ancora attende che i nostri ragazzi possano produrre attestati che dicano chiaramente non quanti punti hanno ottenuto, il che non dice nulla, ma che cosa sanno fare, il che direbbe tutto! In questo discorso, l’abilità, come introdotta dal regolamento del ’98, gioca un ruolo abbastanza ballerino! Perciò ciascuno, stando a quanto non dice il regolamento, può intendere quello che vuole!

Nel corso degli anni fortunatamente le cose sono cambiate, almeno sul piano della ricerca, confortata anche dalle Raccomandazioni europee, non davvero su quello delle scelte della nostra amministrazione. E allora facciamo parlare la documentazione comunitaria. La Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 5 settembre 2006 dà questa definizione del concetto di competenza: “La competenza è la capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale”. Si noterà che la competenza occupa il primo posto e che ritornano altri termini noti, la capacità, le conoscenze, le abilità e uno assolutamente nuovo, le attitudini.

Detto in termini più semplici possiamo dire che un soggetto è competente quando è capace di dimostrare che in date situazioni, di lavoro o di studio, utilizza conoscenze, abilità e attitudini personali e sociali. Analizziamo quale lettura dare di questi termini.

• Capacità: nel linguaggio comune si è soliti dire che Antonio è capace di andare in bicicletta, Maria di guidare un trattore, Giuseppe di suonare il pianoforte e così via. Nel linguaggio specialistico psicologico, invece, la capacità è la possibilità, la facoltà che un soggetto ha di fare qualcosa, purché ve ne siano le condizioni. Se Antonio ha mani e piedi funzionanti e la vista buona, ha la capacità di andare in bicicletta, anche se invece deve ancora impararlo: quando l’ha imparato, allora diventa abile. Ovviamente nel linguaggio comune non diciamo mai che Antonio è abile ad andare in bicicletta, che Maria è abile a… e così via, perché, come si suol dire, suona male! Per farla breve, la capacità di cui alla Raccomandazione europea è la capacità del linguaggio comune. Ed è tutt’altra cosa rispetto alla capacità di cui al citato regolamento del ’98.

• Conoscenze: si tratta non solo dell’insieme di dati, informazioni, concetti, principi, procedure, regole, norme e così via che un soggetto ha appreso, ma anche delle modalità con cui le usa a fronte di una data situazione, problematica o meno; in altri termini, l’insieme di una sorta di conoscenza “passiva”, l’archivio organizzato dalla memoria, e il suo uso “attivo” e, se del caso, originale e creativo.

• Abilità: nella Raccomandazione viene intesa come una sorta di segmento attivo di una competenza. Torno all’esempio di Antonio: se sa guidare una bicicletta, ha indubbiamente un’abilità manuale, anche se non sa suonare il pianoforte; ma anche Giuseppe ha un’abilità manuale, perché sa suonare il pianoforte, però non ha mai imparato ad andare in bicicletta! Le abilità hanno quindi un carattere orizzontale: Fernando è un chirurgo e va all’ospedale in bicicletta; la sua abilità manuale si esercita su più attività. Le competenze hanno un carattere verticale: più abilità, cospirano insieme per dar luogo ad una competenza: Fernando, quando opera non guida certo la bicicletta; ma, perché possa operare, concorrono tante altre abilità, non solo manipolative, ma anche visive, per non dire di tutto il corredo di conoscenze scientifiche e tecnologiche che gli consentono di affrontare con successo l’operazione.

• Attitudini: si tratta di una voce assolutamente nuova e che fa finalmente giustizia di tante interpretazioni riduttive del concetto di competenza: com’è noto, i più sono soliti pensare che la competenza è quella del barbiere, dell’idraulico, del muratore, non davvero quella di un magistrato o di un architetto! In effetti, tutti possono definirsi competenti, quando portano a termine con successo i lavori a cui attendono, siano quelli del cuoco o del magistrato che quelli di una colf o di un medico. Insomma, essere competente non significa semplicemente attuare una procedura od un protocollo di lavorazione. È chiaro che avviare “quella” lavatrice significa seguire puntualmente una procedura, e chiunque la volesse far funzionare deve seguire quella procedura o quei dati programmi e non può inventare qualcosa di nuovo! Il fatto è che eseguire delle procedure non è competenza! Attenzione! Occorre una precisazione! C’è anche un codice di procedura penale, ma in questo caso la competenza interviene non solo quando lo si adotta, ma anche quando lo si interpreta! Ed è così che entriamo nel mondo delle attitudini personali e sociali. Due magistrati emettono sentenze diverse, pur a fronte del medesimo caso e servendosi del medesimo codice. Ciascuno di noi ha le sue chiavi di lettura, ha le sue motivazioni, le sua attese, e così via! La competenza pertanto è sempre costituita di più fattori, alcuni afferenti alla tipologia concettuale di quella competenza data, altri afferenti alla lettura che ne fa il competente. Occorre anche pensare che non sempre una competenza si esercita solo a livello individuale. Quando Giuseppe suona da solo un notturno di Chopin, obbedisce solo alla sua preparazione di musicista, alla sua personale interpretazione del brano; ma se deve suonare la Nona con l’orchestra… la musica cambia, deve interagire con la bacchetta del direttore e con tutti gli altri professori. E il chirurgo Fernando deve interagire con la sua équipe e ciascun membro è competente in primo luogo nella misura in cui interagisce con gli altri.

Per concludere, va detto che una scrittura sufficientemente corretta del “progress” conoscenze, abilità/capacità e conoscenze è stata effettuata con l’allegato 1 al dm 139/07 relativo all’innalzamento dell’obbligo di istruzione. Sarebbe stato più opportuno adottare nella seconda fincatura solo il termine di abilità, ma è poca cosa. In effetti, nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 leggiamo che “le competenze sono definite… alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto”: di capacità non una parola! Altra operazione sarebbe quella di verificare se le voci relative alle tre categorie concettuali meritino qualche correzione. Quindi il lavoro non manca! A tutti noi! E al Miur, soprattutto!

Maurizio Tiriticco

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