Ignoranza, brutta bestia. Com’è il volto del “non istruito”?

L’educatore ha il volto del “nobile Pierrot” (copertina del libro dell’autore “Analfabetismo: il punto di non ritorno”, Herald Editore, 2011) che “nel tentativo di strappare un sorriso dalla platea, non riesce a trattenere quella lacrima struggente, intrisa di quella dolcezza infinita, che inarrestabilmente sgorga da quegli occhietti tanto tristi e tanto puri” (ibidem, p. 18).

La sofferenza dell’educatore non è dovuta solamente all’analfabetismo di ritorno ma soprattutto al processo di dealfabetizzazione dell’istruito: la tragedia è compiuta nella confusione dell’istruito con l’istruito che “non sa di non esserlo più”.

È un uomo a metà strada, non è analfabeta, non è istruito, è un “non istruito(*)”; Dante lo collocherebbe nel Limbo.

E non servono più i dati devastanti sul fenomeno, perché con gli ultimi di Roberto Ippolito in “Ignoranti” (ed. Chiarelettere, 2013) sui politici c’è da piangere, visto che i laureati della prima legislatura erano il 94,1% e quelli della sedicesima erano il 64,8%.

Così, i dati di Giovanni Solimine in “L’Italia che legge” (ed. Laterza, 2010), quando riferisce che i lettori dirigenti, imprenditori e professionisti in Germania sono il doppio di quelli italiani, indurrebbero a pensare che non riusciremo mai nell’impresa sabauda di “fare gli italiani”.

Nel senso di Gian Arturo Ferrari, che in “Sviluppo dell’Ignoranza” (Corriere della Sera del 30/01/2013), dopo essersi giustamente chiesto “Chi avrebbe dovuto farli?” sostiene che l’obiettivo generale della crescita culturale si potrebbe avere solamente se si riuscisse a dare a tutti gli italiani (e non solo) gli strumenti essenziali per costruire se stessi.

Ora, ci chiediamo: chi è costui, qual è il suo volto? Qual è il volto del “non istruito” o “istruito dealfabetizzato” (l’ignorante che non sa più di esserlo – vedi “Chi ha il pane non ha i denti”)?

Ebbene, è quello dell’uomo “sanza infamia e sanza lode”, è il volto de “L’uomo senza qualità” (R. Musil) che ben si potrebbe rappresentare con il celebre dipinto di René Magritte “L’uomo con la bombetta”.

Cerchiamo di vederlo più da vicino.

Non è escluso che questa piccola indagine ci faccia capire il perché dei risultati di questa interessante tornata elettorale delle elezioni politiche 2013.

Aggiungo che interlocutori esterni attenti, osservatori europei illustri, hanno sottolineato che il caso italiano di queste politiche – sì, perché ora sembra un “caso” – non è affatto un’anomalia, in quanto è semplicemente accaduto che le politiche italiane siano capitate prima che negli altri Stati europei: “Se oggi si votasse anche in Francia, Spagna e… sarebbe lo stesso, la protesta sarebbe unanime”, con lo stesso enorme spostamento dei voti dai partiti o coalizioni tradizionali alla protesta.

Una sana protesta contro l’uomo senza qualità, l’uomo dal viso coperto, che però oggi, come sappiamo, non ha neanche il pudore di coprirsi con una “mela acerba” (“Un paese di ignoranti che non sanno di esserlo”, di Tomaso Montanari, Il Fatto Quotidiano del 07/02/2013).

Allora, quale è il volto del dealfabetizzato?

Se volessimo usare un linguaggio diretto diremmo che questo volto è quello di chi:
1. è muro di gomma (è indifferente ai dati e alle lamentazioni, ha un viso inespressivo, una faccia tosta o piatta senza lineamenti a dispetto della grazia dell’aspetto fisico);
2. è autoreferenziale (non si confronta con gli altri, non sopporta critiche, non ama sottolineare i contributi altrui – che ritiene irrilevanti – ma i suoi “apparenti” risultati personali);
3. è scorretto (utilizza il lavoro, le idee e la fatica degli altri senza riconoscere il merito di chi ne è stato il protagonista);
4. è arrogante e invadente (non sono problemi che lo riguardano, sono sempre problemi di altri, anzi “urlare” è una misura della sua morale, del suo “spazio vitale”);
5. è millantatore (non gli interessa il problema “vero” perché il fine giustifica i mezzi – sempre!);
6. è “sanza infamia” (si accontenta del “credito” a lui assegnato – per esempio per il lavoro che fa – e sopravvive al minimo del suo impegno);
7. è “sanza lode” (lungi da lui l’idea di impegnarsi in un’azione di eccellenza, di emergere, di distinguersi per un risultato di qualità, fosse anche per se stesso);
8. è “ignorante” (non capisce la “realtà”, non è “presente”, vive in un “altro mondo”, la realtà è sempre un’altra… quella che conviene, rimette le cose come meglio gli pare per convincersi che le cose meglio di come le “vede” lui non possono essere viste);
9. è irrispettoso, non maleducato (non ti ascolta e fa come vuole);
10. non ascolta (non ha come priorità quello di capire la relazione o quel che gli si sta proponendo perché persegue un altro scopo);
11. non è cattivo, anzi è remissivo, semplicemente egoista, opportunista;
12. è “essenzialmente solo”, anche se illuso perché appartenente a una comunità di qualche tipo (es. a un partito o una comunità religiosa);
13. misura le proprie scelte (quindi anche il “voto”) sul filo dell’interesse economico, quando questo rappresenta un vantaggio economico;
14. magari senza volerlo, ignora il “bene comune”, è indifferente alla “cosa pubblica”, che non gli appartiene, è compito di altri;
15. rigetta la politica perché responsabile dei suoi malesseri e dei suoi guai;
16. si getta in politica quando questa serve a conservare il suo interesse privato ed economico, a proteggerlo da ingerenze o da fallimenti, a perseguire i suoi fini lucrosi;
17. fa politica da sempre e semplicemente non capisce che è il momento di cambiar vita, di fare altro. La politica non è una professione, è un’arte (“l’arte del possibile alla luce di un ideale”) e la si deve esercitare per esprimere la propria creatività. Quest’ultima ha bisogno di cambiamento per essere utile a se stessa e agli altri.

Se così non fosse il volto sarebbe luminoso e trasparente (non coperto come ne “L’uomo con la bombetta”) perché intento a impegnarsi a sanare quella realtà turbolenta e sofferente (non grigia e classicamente tranquilla come quella dell’uomo senza qualità con il suo mondo al condizionale) che non è data da una democrazia consolidata ma, come dice Alfonso Moscato, semmai da una “liquid democracy”.

Chiudo con una importante poesia di Brecht, oggi molto attuale soprattutto perché assume un significato che va oltre la definizione del classico analfabeta.
E non capisco più se oggi Brecht la rivolgerebbe all’analfabeta politico o al politico analfabeta.

L’analfabeta politico

Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
né s’importa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertolt Brecht

(*) Ringrazio Simonetta Fiori per lo spunto sulla “dimensione antropologica” del non istruito

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Immagine in testata di Miglioramente (licenza free to share)

Arturo Marcello Allega