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Cronache da un Liceo del futuro: primo movimento

Pubblicato il: 03/07/2012 17:27:07 -


Due comunità, invisibile e visibile, sono nella scuola, che è al tempo stesso, per sua costituzione anfibia, stazione e paradiso.
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LE DUE COMUNITÀ


E come giga e arpa in tempra tesa
di molte corde fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, senza intender l’inno…
(Par. XIV, 118-122)

Per riprendere il percorso avviato nel mio precedente intervento non ho trovato strada migliore di questa preziosa citazione dantesca, che a sua volta, a mio parere, può illustrare alla lettera il concetto che intendevo adombrare, anzi anticipare, con il link di chiusura. O viceversa, esserne illustrato. Per uscire dal circolo vizioso, chiedo al mio lettore di collaborare consultando per suo conto un qualunque commento ai versi citati, con grande vantaggio di spazio per chi scrive. A queste condizioni, potrà cominciare a delinearsi l’ipotesi che formulo in apertura di questa ripresa: viviamo già da sempre immersi in due dimensioni, due vere e proprie comunità sociali opposte e complementari (un po’ come particelle in fisica quantistica): quella che chiamerei la “comunità visibile” e quella che potremmo definire la “comunità invisibile”. Il flash mob di Vienna ne è la dimostrazione più eloquente. La stazione può essere assunta a metafora perfetta della “comunità visibile”. È il mondo che incontriamo uscendo di casa, il mondo dove ciascuno agisce per scopi diversi e personali, regolati esclusivamente da codici sociali condivisi (orari, coincidenze, destinazioni) senza i quali, tuttavia, non sarebbe possibile raggiungere, nel reciproco coordinamento, gli scopi stessi. Ma quando i musici della Volksoper di Vienna tirano fuori i loro strumenti e cominciano a suonare un brano dei Carmina Burana, (idea che mi ha portato a Dante: stessa epoca, stessa estetica, stessa etica…), un’irresistibile forza di attrazione finisce per arrestare il moto perpetuo del più anonimo dei luoghi, la grande stazione. Il filmato mostra il formarsi, come per miracolo, di quella che ho chiamato la “comunità invisibile”, la seconda dimensione sempre virtualmente presente dove gli uomini agiscono e interagiscono; anzi mostra precisamente il suo passaggio dalla potenza all’atto. La musica rapisce (cfr. Dante) l’attenzione della gente che s’arresta anche “senza intender l’inno”, gente composta soprattutto (numericamente) da “tal da cui la nota non è intesa”, da chi non sa “leggere la musica”. Al primo “miracolo” se ne aggiunge subito un altro, che la maggioranza di noi ha sperimentato di persona: si può “comprendere” la sublime bellezza e perfino la vertiginosa architettura di una fuga di Bach, per esempio, anche senza la minima cognizione del pentagramma. Siamo di nuovo al tema dell’articolo precedente: l’armonia prestabilita, in senso largo (tra il nostro cervello, le onde sonore, il genio di Bach e gli altri nostri simili che suonano e ascoltano). Ecco perché la musica sembra configurarsi come il linguaggio d’elezione, il medium artistico più universale, della comunità invisibile.

Già, ma non abbiamo ancora detto cosa intendiamo con questa espressione. Potremmo definirla il dominio del “mistico”, in termini wittgensteiniani. Cioè anche dell’etico (quindi un a priori tutt’altro che astratto, perfino “troppo umano”, se su di esso si fonda in ultima analisi anche la “comunità visibile”…). Insomma, quello che c’è di più importante, e che tuttavia non si può “dire” (Tract. 6, 552; e naturalmente 6,7). Sarà un caso che la musica è arte religiosa (non solo “sacra”) per vocazione? (e che ha raggiunto vette insuperabili nel mondo protestante, dove ha sostituito in chiesa l’arte figurativa?). Sarà un caso che le anime del Paradiso dantesco si esprimono costantemente in cori di luce e suono? E, anche quando le “voci soliste” recitano i loro “assoli”, agiscono sempre su quello sfondo di vibrazioni primordiali che caratterizza la vita del terzo regno? Ma con questa differenza di accenti: dove i cori di luce sono prevalentemente epifania della gioia (“Freude!”), quelli sonori lo sono della gratitudine; qualcosa di forse ancora più alto, se la parola stessa condivide il suo etimo con “carità”. E qui troviamo il primo aggancio, sebbene possa sembrare iperbolico, con quanto testimoniato nell’intervento precedente. Potrebbe esserci un nesso tra la serata alla Filarmonica romana dei ragazzi del Liceo Farnesina, lo studio della musica e il ringraziamento ai professori che ho descritto? Tra musica e gratitudine, gioiosamente spontanea? Tra musica ed etica? Se vi sembra troppo, chiediamoci intanto: è possibile configurare in termini meno vaghi il nesso tra “comunità visibile” e “comunità invisibile”? O addirittura: esiste questo nesso? Non sarà cosa da rimettere esclusivamente alle inopinabili u-topie situazioniste o alle lontane sfere del Paradiso? Ma riflettiamo: Dante ha descritto il Paradiso, la comunità invisibile per eccellenza, pur restando all’interno della comunità visibile… come avrebbe fatto senza averne una percezione anticipata? Chiediamoci piuttosto se gliel’abbia fornita almeno un po’ la musica, per quanto prevalentemente monodica… Se il suo esempio è sufficiente, insieme al flash mob di Vienna, per ammettere la compresenza “quantica” delle due comunità nella nostra attuale dimensione, perfino la più ordinaria, allora siete pronti per l’ulteriore passo che vi propongo: ovvero riconoscere che un luogo dove le due dimensioni sono già sempre “in atto” esiste, ed è la scuola. In altre parole: che la scuola è al tempo stesso, per sua costituzione anfibia, stazione e paradiso… una pausa per digerire la mossa mi sembra necessaria, prima di riprendere il discorso…

Francesco Lizzani

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