La “terza cultura”

George Steiner nel suo libro I libri che non ho scritto – “Un libro mai scritto è più di un vuoto. Accompagna l’opera che si è compiuta come un’ombra fattiva, insieme ironica e dolente. È una delle vite che non abbiamo potuto vivere, uno dei viaggi che non abbiamo intrapreso” (pag.8), – dedica il quinto capitolo, “Interrogazioni scolastiche” al sistema formativo del terzo millennio. Avendo avuto la possibilità di sperimentare direttamente il funzionamento dell’istruzione secondaria e superiore nell’Europa continentale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, Steiner viene a più riprese investito dagli organismi preposti dell’Unesco, dalla Commissione Europea di Bruxelles e da alcune fondazioni culturali del compito di un’analisi comparativa fra i diversi sistemi formativi.

La sua proposta parte correttamente dal fatto che ormai è troppo datata la contrapposizione “cultura umanistica”/“cultura scientifica” (Snow) dopo la rivoluzione che ha generato il moderno computer, internet, la rete globale, il marketing planetario, l’informazione su satellite. È venuto piuttosto il momento storico di quella che può essere definita “terza cultura”, un paradigma che non può essere interpretato secondo i canoni heideggeriani della tecnica. Il computer, con il ritmo accelerato del suo sviluppo e della sua diffusione anche nelle case e nelle scuole elementari, ha creato un mondo le cui costanti fondamentali, come la conoscenza, l’informazione, la comunicazione, il controllo psicologico e sociale, addirittura la nostra comprensione del cervello umano e del sistema nervoso (il cablaggio) stanno per essere radicalmente alterate e riconsiderate. Giorno dopo giorno la competenza informatica (Computer literacy) sta diventando il passaggio rituale all’adolescenza e all’età adulta. Questa “terza cultura” comprende in eguale misura le discipline umanistiche come quelle scientifiche; le sue radici affondano nella logica matematica e nelle equazioni elettromagnetiche, anche se il suo contenuto informativo, la sua iconografia e il suo raggio d’azione abbracciano ogni struttura semiotica, ogni applicazione linguistica tanto in letteratura, in storia, nello studio delle belle arti quanto nella logica formale.

Dinanzi a questa autentica “rivoluzione culturale” è indispensabile la costruzione di un nuovo quadrivio formativo, che dovrebbe essere incentrato su musica, matematica, architettura e scienze della vita (biologia molecolare e genetica), insegnate, per quanto possibile, storicamente. A partire dall’ambiente della scuola primaria, il computer può rendere questi quattro regni contigui e farli interagire con la mente e l’immaginazione degli studenti. Questi quattro assi aprono la sensibilità sia ai problemi più immediati sia ai limiti più estremi del pensiero: “riconoscere l’arguzia nella matematica, l’umorismo nella musica (Haydn, Satie), la giocosità nell’architettura – quel cetriolino sopra Londra – o l’assoluta bellezza di certe strutture molecolari, significa diventare partecipe di una pedagogia della speranza” (pag. 176). In questo nuovo millennio la “pedagogia della speranza” non potrà prescindere dal modo in cui la musica riesce a parlare la lingua del mondo.

Per approfondire:
• George Steiner, I libri che non ho scritto, Garzanti, Milano 2008.

Elio Matassi