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“Pillole d’arte”: sperimentazione per insegnare la storia dell’arte

Pubblicato il: 25/02/2014 11:50:31 -


Raccontare l’arte in forma brevissima ha il senso della sintesi, è il fine della conoscenza, il dono del ricordo e la funzione della “chiave” d’accesso. L’arte si ricorda più facilmente e, durante le verifiche scolastiche, aumentano gli argomenti da trattare in forma più ampia.
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In Italia insegnare la storia dell’arte ai ragazzi delle scuole medie superiori significa che – quando va bene – si hanno due ore alla settimana per gli ultimi tre anni del curricolo dei licei classici, linguistici, delle scienze umane/musicali e degli istituti tecnici a indirizzo turistico. Pochissime ore in più nei licei scientifici.
Tutto questo dal primo settembre 2010, quando trova attuazione, nella scuola secondaria di secondo grado (le superiori), la riforma Gelmini che, se aumenta di un’ora l’insegnamento della storia dell’arte al terzo e al quarto anno del liceo classico, toglie la disciplina dal biennio dell’istituto tecnico a indirizzo turistico così come dal curricolo degl’istituti che hanno moda e costume come orientamento.
È inimmaginabile che, nel riordino dei curriculi, si tolga storia dell’arte proprio dagli istituti che hanno in questa disciplina uno degli elementi fondanti per un operatore turistico, che l’insegnamento della storia dell’arte non sia presente in tutti i curricoli delle superiori per dare, se non altro, quello stimolo necessario nell’apprezzare ciò che di bello c’è nel “vedere” un prodotto dell’ingegno dell’uomo o della natura e trarne un giusto e necessario vantaggio economico.

Penso che raccontare l’arte in forma brevissima ha in sé il senso della sintesi e il fine della conoscenza: non si può semplificare un argomento se non lo si conosce in forma piena, se non lo si è studiato a fondo, soffermandosi molto sui particolari. La semplificazione ha il dono del ricordo e la funzione della “chiave”: il poco si ricorda più facilmente e apre ad argomenti da narrare in forma ampia e diffusa durante le verifiche.

Ho perciò pensato fosse utile proporre agli alunni di elaborare delle esercitazioni di sintesi, degli scritti brevi a commento delle opere d’arte, di elaborare una “chiave” in forma di commento che blocchi il ricordo dell’opera e che dia loro la possibilità di smontare una conoscenza per rimontarla in modo personale e di promuovere una competenza attraverso la capacità di sintesi.

Ho aperto un profilo su Facebook, “Pillole d’Arte”, accompagnato dal sottotitolo “storie dall’arte in forma brevissima”. A tutti gli alunni delle classi, in cui insegno quest’anno, ho chiesto di provare a raccontare un’opera d’arte oggetto di studio in un’espressione, al massimo in due, partendo da spunti molto personali.

Nella maggior parte delle classi tutti gli alunni si esercitano nella riflessione, in poche classi solo alcuni, in una quasi nessuno. Molti nicchiano rifugiandosi nella tipica espressione “non mi viene”, pensando (o cullandosi nella convinzione) che una composizione, di qualunque natura, debba per forza essere ispirata da chissà quale entità superiore.

Prima di usare Facebook avevo pensato a Twitter, un social network che della sintesi fa la sua ragion d’essere (in questa piattaforma si comunica al massimo con 140 caratteri). Abbiamo perciò provato su Twitter, ma non andava bene: dei 140 che si hanno a disposizione, se si allega un’immagine, ne rimangono disponibili 117, poi l’# che li riunisce (#P_Arte) ne assorbiva altri 7, sicché per il racconto rimanevano solo 110 caratteri e non c’era spazio nemmeno per identificare l’opera (autore, titolo e data di realizzazione).
È stato scelto l’uso di Facebook perché favorisce la collaborazione e la condivisione; le espressioni più brevi le riporto anche su Twitter, strumento che della brevità fa il suo cardine.

L’opera d’arte è, per i ragazzi, il sasso nello stagno di cui parla Gianni Rodari nella sua “Grammatica della fantasia”: anche se in forma letteraria sottile, non pochi hanno difficoltà ad andare oltre la descrizione di quanto vedono nell’immagine del testo (descrivono le onde concentriche che si allargano sulla superficie dello stagno dopo aver gettato il sasso).
Più intrigante e utile è il lavoro di chi parte da uno spunto offerto dall’opera proposta elaborando una sensazione, un’impressione, un rimando, un “da cosa nasce cosa” (il sasso che, mentre scende in profondità, smuove le alghe, spaventa i pesci, causa agitazioni molecolari).
Quest’azione viene elaborata dagli alunni a casa scegliendo un’opera a piacere tra quelle analizzate nel corso della lezione. Su un quaderno scrivono fino a un massimo di 10 commenti nella forma letteraria che preferiscono: in rima, con un acrostico, lavorando su un binomio… in una o due espressioni al massimo.
Unico vincolo: “non descrivere l’opera d’arte ma commentarla”.

Allegati:
“Pillole d’arte” – Esempi tratti dalla pagina Facebook
“Pillole d’arte” – Tabella con link delle immagini

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Immagine in testata di Pek / Flickr (licenza free to share)

Gianni Piccirillo

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