Pedagogia della memoria e autobiografia  a scuola

L’incontro con il metodo autobiografico

Il percorso di Elisa Bonini[1] comincia da lontano con l’utilizzo, proposto dall’insegnante di italiano della scuola media, di un quadernino da dedicare alla scrittura diaristica, depositaria di memorie e emozioni. Un’esperienza caratterizzata da attrazione e curiosità, che lascia un segno e che si riaccende di nuova luce quando ormai quasi vent’anni fa, nel 2005, la giovane maestra Elisa partecipa per la prima volta ad Anghiari all’Accademia estiva-simposio presso la Lua, Libera Università dell’Autobiografia[2] e si reca a Pieve Santo Stefano nella Città del diario[3], che ospita nella sede del municipio un archivio pubblico di memorie autobiografiche di gente comune, taccuini delle trincee di guerra, lettere d’amore dei secoli passati, diari di giovani chiusi a chiave con il lucchetto, racconti di migranti.

L’idea di fondare la Città del diario all’inizio degli anni Ottanta fu del giornalista e scrittore Saverio Tutino, che quindici anni più tardi diede vita a Anghiari con Duccio Demetrio alla LUA, iniziativa che ha fatto proseliti in Europa, dove negli anni è nata una rete di centri orientati a valorizzare la scrittura, le pratiche di narrazione e la testimonianza autobiografica, come complesso di fonti di interesse antropologico.

Sulla scia delle conversazioni con il suo Maestro professor Demetrio alla ricerca della definizione dell’argomento della tesi di laurea in “Filosofia dell’educazione”, Elisa comincia a raccogliere presso l’Archivio diaristico di Pieve corrispondenze epistolari, diari e raccolte di scritti tra innamorati di diverse epoche, materiale documentale che diviene oggetto della tesi intitolata “La scrittura educatrice in autobiografia. Attaccamento e perdita nell’amore romantico”.

Questo percorso intrigante e di coinvolgimento attivo e convinto nella metodologia autobiografica costituisce per Elisa un vero e proprio laboratorio di iniziazione alla scrittura e alla narrazione di sé, destinato a proseguire nel tempo: con il compito di raccogliere gli scritti dei corsisti e di formularne una restituzione in forma anonima ha la possibilità di affiancare il professor Demetrio, di osservarlo all’opera e di spiare i suoi segreti in alcuni interventi formativi di gruppo.

Presso la scuola dell’infanzia dove insegna cerca di emulare il Maestro, ma via via, immagina anche interventi personalizzati da sperimentare con i più piccoli, sempre con un occhio al suo modello: scatole dei ricordi e lavori a quattro mani con le mamme, andavano a ricostruire storie, a raccontare autobiografie con calzini cuciti all’uncinetto, bavaglini con nomi ricamati, braccialetti della nascita, provenienti dall’ospedale. La “scatola dei ricordi”, ponte tra scuola e famiglia, primo approccio conoscitivo, utile strumento nella fase di Ambientamento, era un primordiale elemento autobiografico.

Nel frattempo l’esperienza sul campo si allarga e grazie al progetto “La Milano della memoria”[4], promosso dal Comune di Milano, Elisa raccoglie i racconti autobiografici che rivivono attraverso la parola degli anziani di quartiere e può sperimentare da vicino la tessitura della trama sociale, della rete fondativa della storia locale della sua città di adozione.

Educatore autobiografico o insegnante biografo

Attraverso percorsi diversificati e un lavoro costante sulla propria autobiografia, la cassetta degli attrezzi di Elisa si va così riempiendo negli anni di nuovi strumenti e strategie che la portano a sentirsi un educatore autobiografico o insegnante biografo – capace di ascolto, empatia e astensione dal giudizio -, a elaborare una sua idea progettuale di laboratorio autobiografico e a sperimentarlo nella didattica con i bambini e le bambine della scuola dell’infanzia prima, e della scuola del primo ciclo poi.

L’impegno in prima persona si estende anche alla formazione di colleghi insegnanti, che vogliono verificare su di sé le modalità con cui si rievocano memorie personali attraverso la scrittura, per mettersi poi in gioco in laboratori autobiografici con gli alunni.

Quella autobiografica è una vera e propria metodologia di formazione che prima di sviluppare conoscenze e competenze su qualcosa, mira a approfondire la conoscenza di sé. L’approccio autobiografico e la scrittura di sé stimolano la memoria e i processi cognitivi, sollecitano a rievocare, sviluppano l’intelligenza emotiva, ricreano legami affettivi, mettono in comunicazione con gli altri, mediano la relazione e aiutano a condividere, favoriscono lo scambio intergenerazionale e interculturale e  inducono a dare forma ai propri sentimenti, alle sensazioni di felicità, gioia, serenità, oppure ai malesseri, ai traumi piccoli e grandi, ai vissuti di mancanza o fallimento, alle domande irrisolte, alle scelte sospese.

I ricordi evocati non sono infatti solo piacevoli, ma a volte anche imbarazzanti o dolorosi, e catarticamente il gruppo ne permette la rielaborazione sotto la guida attenta dell’insegnante. Gli “oggetti d’affezione” e gli stimoli emotivi sotto forma di immagini, suoni e odori, ci ricordano eventi, momenti, persone che hanno attraversato la nostra vita e si trasformano in “racconti”: il metodo autobiografico possiede questa potenzialità emancipatrice, potenzia cioè la capacità narrativa.

Durante lo svolgimento delle attività laboratoriali viene incentivata l’ampia libertà a raccontarsi, senza forzare le memorie individuali, offrendo a ciascuno un tempo e uno spazio di educazione interiore quale esperienza di pedagogia della memoria attraverso la scrittura autobiografica, la possibilità di esprimersi con modalità creative e libere da forme valutative dell’adulto.

Per far questo l’insegnante biografo non deve operare alcuna intrusione interpretativa sul racconto del ragazzo, deve solo ascoltare, limitandosi a sottolineare, ad incoraggiare l’investimento di funzioni e di significati, ad indurre la ricerca dei nessi causali e delle attribuzioni di senso, ad attivare altri punti di vista rispetto ai contenuti che emergono, ad individuare momenti nodali e conflittuali del suo rapporto con i compagni o con lo studio stesso delle discipline. In tal senso una metafora eccellente da utilizzare per descrivere il setting autobiografico è quella del “teatro” con cui non a caso il mondo dell’educazione da sempre intrattiene un fertile rapporto. L’aula cioè diventa palcoscenico con i suoi spazi e tempi per l’azione narrativa, le sue luci e ombre, le quinte, il proscenio, il pubblico. Diviene luogo di intreccio di linguaggi, occasione per affrontare la divisione dei saperi. E’ il posto dedicato a far sì che percezioni, sensazioni, immagini, emozioni, rappresentazioni vengano ri-raccontate[5].

Viene esplicitato in tal senso un patto tra compagni e insegnanti, in base al quale il ricordo può fluire liberamente, senza incontrare mai il giudizio di valore altrui o scontrarsi con un atteggiamento valutativo nei confronti delle storie di vita emerse, ma con la disponibilità a sentire empaticamente l’altro e riconoscersi o meno in quell’emozione:  avvalersi della metodologia autobiografica comporta anzitutto l’epokè, la sospensione del giudizio, affinché le storie di vita non siano oggetto di inutili e dannosi giudizi di valore. Il compito autobiografico dell’insegnante, pertanto, deve essere quello di analizzare le storie di vita dei propri ragazzi per stimolarli a raccontarsi e aiutarli a costruire tali storie, per riflettere e comprendere se stessi innanzitutto come persone. La  postura pedagogica  è fatta di rispecchiamento e testimonianza, di comprensione e accettazione e anche del desiderio di scoprire che dietro ogni bambino e ogni bambina c’è una storia che può essere condivisa e meglio compresa[6]. 

Un esempio di percorso laboratoriale

Diversi strumenti sono funzionali a approcciarsi al ricordo mediante il racconto autobiografico, a partire dagli stimoli emozionali (immagini o parole) delle caselle del Gioco dell’oca dell’autobiografia[7], dagli spunti ricavati dal progetto “Nati per scrivere: il paesaggio dentro e fuori di me”[8], che guidano al parallelismo tra interiorità, emozioni, stati d’animo e ciò che sta fuori di noi, tra paesaggio interno ed esterno e offrono stimoli di scrittura come “Un luogo in cui sono stato felice” e “Che paesaggio ero e che paesaggio sarò”, in cui i bambini danno vita a suggestioni naturalistiche e paesaggistiche. Dall’invito rivolto ai bambini a selezionare le parole in cui si rispecchiano e che evocano loro emozioni, scaturisce la scrittura  della “Poesia nascosta dentro di noi” e la composizione di haiku.

A conclusione di un ciclo quinquennale di scuola primaria Elisa spiega con soddisfazione di avere lasciato nelle mani dei suoi bambini e bambine uno strumento, un ponte che li portasse verso il nuovo percorso della scuola media. E’ utile per chi deve affrontare un cambiamento, affacciarsi verso il nuovo, avere l’opportunità di fermarsi a riflettere, rielaborare, raccogliere memorie, attingere dal proprio bagaglio esperienziale ed umano. Ci si sente forti riappropriandosi della propria storia, si vedono le difficoltà già affrontate, ci si riscopre coraggiosi, audaci. Si consolida con la scrittura, quel tratto di tempo fin lì vissuto, come le fondamenta di una casa che sta crescendo e si sviluppa verso l’alto. Si rafforza l’identità ed il senso di appartenenza. E è orgogliosa di essere riuscita a suscitare l’interesse dei colleghi e a disseminare l’esperienza.

La narrazione permette la costruzione dell’immagine di sé, stimola la memoria, rafforza l’identità personale, permette di far sentire l’altro soggetto di diritto[9].

Con questa convinzione il Maestro dell’Autobiografia[10] invita a dedicare più tempo alla parola e alla scrittura personale, che porta verso l’acquisizione di una buona padronanza e una maggiore sicurezza nell’espressione dell’opinione di sé, tale da riflettersi positivamente nelle modalità di restituzione degli apprendimenti.

 

[1] Per contattare Elisa e condividere esperienze di laboratorio: bonini.elisa@iccavalieri.edu.it

[2] http://lua.it/

[3] http://www.archiviodiari.org/index.php/home.html

[4] AA.VV,  La Milano della Memoria – Zona 7, Comune di Milano, 2006

[5] A. MUSCHITIELLO, Il metodo autobiografico nella scuola per la formazione di insegnanti e alunni, in “LLL Focus on Lifelong Lifewide Learning, Rivista internazionale, Anno 3/n.12, ottobre 2008

[6] A. MUSCHITIELLO, Op. cit.

[7] D. DEMETRIO,  Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Guerini e Associati, 1999

[8] L. DANIELI- G.MACARIO, Nati per scrivere. Il paesaggio fuori e dentro di me. Percorsi di scrittura autobiografica nella scuola primaria, Mimesis- Quaderni di Anghiari, 2019

[9] D. DEMETRIO, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Laterza, 2003

[10] D. DEMETRIO, Autoanalisi per non pazienti, Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Raffaello Cortina,2003; D. DEMETRIO, L’educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, la Nuova Italia, 2000; L. FORMENTI, La formazione autobiografica, Milano, Guerini e associati, 1998; D. DEMETRIO,  L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina, 1996; D. DEMETRIO-  L. FORMENTI, La ricerca autobiografica in educazione: dalla teoria alla didattica, in Per una didattica dell’intelligenza. Il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo, Milano, Franco Angeli, 1995.

Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica