Le magnifiche iscrizioni e progressive del liceo biomedico

Qualche tempo fa ho letto della nascita di un certo liceo scientifico (ma constato oggi
dello stesso liceo classico) con la cosiddetta “curvatura biomedica”. Si parla oggi di
liceo biomedico e sul Corriere della Sera ho appena finito di leggere del successo di
tale iniziativa. Naturalmente per successo non si intende della bontà o meno
dell’esperimento didattico ma del raddoppio delle iscrizioni a tale offerta del mercato scolastico. Un mercato che ha ormai offerte sempre più diversificate e disparate con il fine di promettere un ingresso quanto più facilitato e rapido possibile nel mondo del lavoro; senza dover tacere che i propri figli abbiano frequentato una scuola professionale, ma riservando a ogni indirizzo il distintivo del liceo. Peccato che però si tratti sempre di più di un liceo tutto chiacchiera e distintivo. Le promesse, infatti, delle “curvature professionali del liceo” sono sempre a scapito delle ore di italiano, storia e del latino. Non parliamo per carità del greco e della stessa filosofia per cui sono convinto che la grande eccezionalità italiana che la vede fra le materie liceali vada sempre più incontro all’ordinarietà europea e statunitense della estinzione di questa materia dal curriculum delle scuole superiori. Scuole superiori che hanno sempre di meno il fine di formare cittadini e sempre più quello di assicurare spauriti genitori sulla formazione di esperti tecnici diciottenni (a volte l’ingenuità del furbo contemporaneo è disarmante).

Così oggi si lascia brillare di fronte ai clienti del mercato della scuola l’ennesima
futuristica avventura: quella appunto del liceo biomedico. L’ordine dei medici ne è
entusiasta e chiede anzi a gran voce che il 70% dei posti per l’iscrizione alla facoltà di medicina sia riservato agli studenti provenienti da questo nuovo corso di studi. Ora, il pensiero di chi pensa che la quintessenza della licealità è data dal modo in cui essa è stata pensata, nello studio delle humanae litterae, è un pensiero residuale e non ci illudiamo dunque sulla sua capacità di illuminare la marcia trionfale della
professionalizzazione degli studi liceali. Sennonché proprio sul liceo biomedico è
bene dirlo: se già il fenomeno della tecnicizzazione della figura del medico ha
prodotto fenomeni di allontanamento dalla medicina ufficiale (l’unica possibile), vi è
da pensare che ciò si verificherà sempre di più via via che sempre di meno gli uomini si troveranno di fronte a camici nei quali si possano riconoscere dei cittadini. Un’ anonima pulsione che subirà peraltro la concorrenza dell’esponenziale processo di robotizzazione della medicina.

È questo purtroppo un tempo che vede sempre di più la disfida fra l’oscurantismo
antiscientifico dei no vax e l’oscurantismo 4.0 dei no nous.

Colui che il liceo lo ha fondato, Aristotele, qualificava l’uomo come un animale politico e al tempo stesso come un animale razionale. Meglio: un animale politico in
quanto razionale e un animale razionale in quanto animale politico. I due termini,
Aristotele, li pensava come insidenti l’uno nell’altro. Ed è questo rapporto che invece
oggi si è spezzato, quello fra la dimensione sociale e razionale dell’uomo. A scapito e
della socialità e della razionalità. Non si vede, o non si vuole lasciare vedere, che non è possibile formare veri uomini della scienza senza formare veri uomini del pensiero.
Li dove il pensiero si nutre e sopravvive si di tecnica ma prima ancora di riflessione.

La flessione su se stessi, la flessione dell’uomo sull’uomo, la riflessione, non ha più
senso oggi per chi vende e compra. E per chi vende e compra oggi al mercato della
scuola: una scuola sempre più in ritirata dal suo compito critico e sempre più
genuflessa (altro che riflessione!) alle leggi del mercato. Scriveva Ippocrate che
"simile a un dio è il medico che si fa filosofo". Sennonché ogni dio qui è morto, fagocitato dal superuomo, che rende anche Nietzsche molto datato: non si deve più temere del super-umano ma del post-umano. Il tempo in cui l’intelligenza artificiale ancora non ha raggiunto l’autocoscienza ma sicuramente il tempo in cui intanto l’intelligenza naturale sempre di più a quell’ autocoscienza sta abdicando.

Giuseppe Cappello