Flaubert e i giovani d’oggi: educazione letteraria ed educazione sentimentale

Da anni si sente ripetere che è definitivamente tramontata l’epoca in cui i giovani leggevano perché erano curiosi di sapere com’era la vita, vogliosi di vivere la vita dei personaggi letterari per prepararsi alla propria, e in modo particolare si lamenta il fatto che la letteratura sia stata soppiantata dai nuovi media, tanto più immediati e comunicativi. Molti ne sono convinti al punto da rinunciare a impegnarsi per cambiare il modo di insegnare la letteratura affinché risponda alle domande di senso che continuano ad assillare i giovani. È innegabile, infatti, che i giovani vanno alla ricerca di senso; e perciò la scuola rischia di perdere del tutto rilevanza se non intercetta questo bisogno e non mette in relazione la “sua” ricerca di significati con le esperienze che fanno gli studenti al di fuori delle istituzioni educative.

Che i giovani non leggano è un luogo comune poco fondato; anzi, spesso divorano una letteratura di settore che risponde immediatamente al loro bisogno psicologico di identificazione e imitazione. È vero, invece, che non leggono quello che noi adulti vorremmo che leggessero perché lo consideriamo formativo. Sta dunque ai docenti intercettare quel bisogno psicologico e formativo per guidare i giovani alla scoperta della grande letteratura; educare il loro gusto e consegnare loro un metodo di lettura. Si tratta di un’emergenza del presente o di un problema che è sempre esistito?

Per farmi capire ricorro a un esempio letterario: Flaubert scrive che Emma Bovary, durante la sua educazione in convento, è stata una lettrice appassionata di romanzetti sentimentali che hanno alimentato la sua “cattiva” educazione alla vita e all’amore. Sulla base delle aspettative che allora si era creata commetterà nella vita reale una serie di errori che la porteranno al suicidio. Flaubert vuol forse dire che per i giovani è pericoloso nutrirsi di letteratura? No di certo: a sbagliare è Emma, e l’autore ce lo fa capire quando, attraverso i pensieri del personaggio stesso, rievoca quelle letture e i sogni a esse connessi.

L’errore di Emma è duplice: innanzi tutto si identifica senza alcuna forma di mediazione nei personaggi dei romanzi, languidi, sognanti, innamorati. Come loro si aspetta dalla vita la felicità, il lieto fine, senza distinguere sé stessa dall’altro che sta nella pagina scritta. In secondo luogo i modelli a cui Emma si ispira sono un insieme affastellato ed esteticamente disgustoso di stereotipi appartenenti a epoche storiche e a regioni geografiche diverse.

Ammettiamolo: i giovani lettori sono un po’ come Emma. Mancano, detto in altro modo, della consapevolezza dell’alterità e della distanza storica. Una consapevolezza che forse solo la scuola può sviluppare, contrastando la spontanea tendenza all’appiattimento sul presente delle loro esperienze di lettura. Contrastare non significa, tuttavia, frustrare la spinta a immedesimarsi nei testi letterari, ma educarla, guidando gli studenti a distinguere l’altro da sé, l’ieri dall’oggi, il lontano dal vicino. È quello che a scuola si chiama contestualizzare e storicizzare. E ancora, significa insegnare che per stabilire un dialogo con un testo letterario bisogna conoscerne la lingua, le regole, le strutture compositive, la natura artificiosa. Tutto ciò che garantisce la sua capacità comunicativa al di là del tempo. L’esame formale di un testo letterario non è, infatti, un esercizio fine a sé stesso, ma funzionale alla conoscenza dei significati di quel testo, della sua specificità e della sua distanza da noi, una distanza dalla quale continua a parlarci, se conosciamo la lingua particolare con cui si esprime. A queste condizioni il lettore non corre i rischi di Emma.

La letteratura non si confonde con la vita ma dialoga con lei; il lettore non cerca un ipotetico sé stesso nel personaggio letterario, ma un compagno di strada che gli può dare consigli. E il compito della scuola è duplice, perché può provvedere al tempo stesso all’educazione letteraria, intesa in senso disciplinare, e a quella sentimentale-emotiva dei suoi studenti.

Laura Carotti