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Arte, cultura e lingua italiana nel mondo. Un nuovo progetto politico

Pubblicato il: 16/10/2014 16:02:21 -


Le ragioni che sostengono la promozione della lingua e della cultura italiana, non solo come prospettiva culturale ma soprattutto come progetto politico nazionale.
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L’esigenza di una svolta profonda nelle politiche per la diffusione della lingua, arte e cultura italiana nel mondo, è urgente. L’insegnamento della lingua italiana all’estero va potenziato come “servizio” ai nostri connazionali, ai loro figli e alla vasta platea di oriundi nel mondo (oltre 60 milioni), riuscendo a conquistare, nei diversi contesti nazionali, curricoli in cui sia possibile apprendere la lingua locale e, insieme, la lingua italiana. Deve inoltre costituire una opportunità concreta per quei cittadini immigrati che intendano realizzare le proprie aspirazioni nel nostro Paese. Ma l’aggravarsi del perdurare della crisi impone anche di fare appello a tutte le risorse disponibili per evitare un avvitamento senza fine e riaprire margini alla necessaria ripresa. In questo ambito il patrimonio artistico culturale e tutta la pregiata produzione del made in Italy, possono trovare nella diffusione della lingua italiana nel mondo, il vettore giusto per mettere in movimento questo processo virtuoso.
Le recenti polemiche sui tagli alla spesa, sui ricorrenti tentativi e decisioni di chiudere alcuni istituti italiani di cultura all’estero, i problemi di gestione del personale delle scuole italiane all’estero, sono invece solo gli ultimi segnali, in ordine di tempo, di una evidente insostenibilità dell’attuale quadro politico- normativo di riferimento. Anche da queste esigenze nasce la proposta della Fondazione Di Vittorio, della CGIL, FLC-CGIL, Inca, SPI-CGIL e Associazione Proteo-Fare-Sapere, per una svolta profonda nella politica culturale per la promozione e la diffusione della lingua italiana nel mondo. Garantire un diritto alle persone, a cominciare dai nostri connazionali all’estero, e assieme sviluppare una grande opportunità per il futuro del paese rappresentano i presupposti di questa iniziativa.
In realtà questa esigenza era apparsa già molto chiaramente nel rapporto “Italiano 2000”, una indagine promossa dal MAE con la collaborazione dei migliori esperti in materia.
Nella prefazione a quel rapporto, Tullio De Mauro evidenziava alcuni punti di analisi che ancora oggi vanno tenuti in considerazione: la mondializzazione, con il suo carico di anglicizzazione inarrestabile ma anche con la riscoperta delle lingue locali; l’effetto del turismo di massa sulla attrazione della lingua italiana, il contrasto tra una sorprendete diffusione della nostra lingua e l’emergere inquietante di fenomeni di analfabetismo diffuso; il nuovo rapporto tra competenza linguistica ed evoluzione del sistema industriale del Paese. Pur nel quadro di una crisi economica e finanziaria molto acuta che ha colpito redditi e consumi, il volto produttivo del Paese, non è rimasto fermo.
Accanto infatti al permanere, nelle tante reti locali, di forme di artigianato e di impresa familiare fortemente legate alle tradizioni locali al punto quasi da apparire anacronistiche, l’incontro con l’informatizzazione e le nuove tecnologie, ha determinato una singolare dimensione produttiva del tessuto locale in cui convivono la personalizzazione e la cura del prodotto artigianale, con la capacità di trasformarlo in un vero e proprio prodotto industriale.
Parliamo insomma di quel “made in Italy” di grande prestigio che primeggia nel settore del mobile, dell’abbigliamento e calzature, del design e della moda, della meccanica di precisione, della ristorazione e dei prodotti alimentari; tutte linee produttive in cui il prodotto e la lingua italiana che lo caratterizzano, costituiscono un insieme inseparabile ed inimitabile. La lingua, in questo caso, non è solo descrittiva del prodotto ma è anche una sorta di certificazione semantica della storia e delle culture del territorio in cui ha preso forma. Ed è in questo incrocio che la tradizione classica, umanistica, della nostra lingua e del suo universo di riferimento, trova il connubio con la modernità e l’informatizzazione.

Non è difficile cogliere lo scarto tra potenzialità immense di valorizzazione di questo patrimonio e politiche troppo settorializzate ed incapaci di cogliere le nuove grandi opportunità. Un rilancio, una nuova politica per la diffusione della lingua italiana nel mondo deve essere parte significativa di una politica per il rilancio della crescita e dell’economia del nostro Paese. Sarà proprio la Prof.ssa Monica Barni, oggi Rettrice dell’università per Stranieri di Siena, a mettere in evidenza (cfr. “Italiano L2 in classe” n°2-3 del 2010, Le Monnier) come sempre più i fattori extralinguistici saranno determinanti per determinare la variabilità della diffusione o meno della lingua italiana. Insomma la politica torna centrale anche in questa delicata questione. Occorre in realtà un progetto politico “di diffusione linguistica realmente in sintonia con quella europea e realmente mirata alla diffusione del plurilinguismo e non arroccata nella difesa del monolinguismo nazionale,avendo anche come riferimento le comunità di origine italiana sparse nel mondo” (op.cit.). Credo che si possa infine aggiungere un’ulteriore considerazione. Ciò che è entrato in crisi in Europa non è soltanto la natura delle scelte di politica economica che si sono dimostrate incapaci di fronteggiare la crisi e di salvaguardare livelli accettabili di occupazione, di reddito e di eguaglianza sociale. Insieme a quelle politiche è entrato in crisi anche l’apparato culturale ed ideologico che ne ha costituito la ossatura. La lingua italiana, per la sua forte connotazione umanistica, torna ad acquisire una crescente attrattività anche in conseguenza di questa sua caratteristica di linguaggio che pone al centro la persona e non l’economia. In sostanza è una lingua che manifesta il bisogno di un cambiamento di paradigma dello sviluppo della società. Ma questa dimensione della attrattività della lingua italiana rischia di essere un fenomeno contingente se la proposta politica, non si dimostrerà capace di innervare si di essa una significativa elaborazione capace di dare corpo e prospettiva al cambiamento atteso.

L’offerta formativa e le sue ramificazioni

La rete dei soggetti impegnati nella promozione e diffusione della lingua italiana all’estero è, secondo i dati del MAE relativi al 2014, così articolata: istituti di cultura italiana; istituzioni scolastiche all’estero; enti gestori; lettori di ruolo e lettori contratto locale; sedi della Società Dante Alighieri, con la quale è vigente una convenzione con il MAE. Tale rete copre 250 città nel mondo. Gli istituti italiani di cultura rappresentano, sempre secondo il MAE, la parte più virtuosa della rete ed anche il vero elemento di forza del sistema. La rete appare fortemente centrata sulla dimensione europea e sulla domanda di lingua italiana in America Latina, Asia e Golfo Persico. Si pone dunque un problema di riallineamento e ridislocazione, sia pure in un quadro fortemente condizionato dai tagli della spending review che ha imposto una drastica riduzione delle risorse: da 26 milioni di euro nel 2008 a circa 10,1 nel 2013.
Accanto a questa rete istituzionale, occorre considerare il ruolo svolto dalle banche italiane all’estero e da numerose imprese. Nuovi soggetti che molto spesso autorganizzano corsi di lingua italiana per i propri dipendenti. Così come risulta sempre più rilevante il ruolo dei centri di educazione per gli adulti, le numerose associazioni di volontariato, la rete dell’associazionismo degli emigrati , le congregazioni religiose. Tutti soggetti che spesso operano fuori da un quadro di collegamento e collaborazione con la rete istituzionale e con il MAE, determinando dispersione di risorse e di potenziale crescita dell’offerta formativa. In particolare appare fortemente sottovalutato il ruolo che potrebbero svolgere quelle associazioni di emigrati italiani di prima generazione che ora si trovano con figli nati all’estero ma rispetto ai quali i genitori vorrebbero coltivare l’apprendimento della lingua italiana, in un’ottica dell’italiano come lingua 2, per nulla alternativa, anzi, con l’apprendimento della lingua straniera locale.
Una nuova proposta politica, capace di dare prospettiva di diffusione della lingua italiana, non può eludere la necessità di costruire relazioni positive con queste realtà; un processo virtuoso non solo in relazione alla diffusione della lingua ma anche alla valorizzazione della partecipazione democratica di tanti cittadini italiani emigrati all’estero.

Gli Istituti di Cultura Italiana all’estero

La durezza dei tagli alle risorse e la necessità di riallineare la distribuzione degli istituti, ha prodotto un vivo allarme nel mondo accademico e culturale. Nel corso dei primi mesi del 2014, numerosi sono stati gli appelli di intellettuali e studiosi perché si evitasse la chiusura di altri Istituti. Nelle diverse dichiarazioni che si sono susseguite, molto forte è apparsa la preoccupazione per una sostanziale dismissione dell’impegno del nostro Paese per la diffusione della lingua italiana proprio in una fase in cui, come abbiamo detto, crescono le ragioni della sua attrattività. In quelle dichiarazioni erano anche presenti elementi importanti per una riflessione propositiva: il futuro degli Istituti non può prescindere da una loro riqualificazione e riforma che ne assicuri qualità ed efficienza.

Emergono dunque tutti gli elementi di debolezza che nel tempo hanno reso fragili ed inidonei ad affrontare la complessità del presente, proprio le strutture che dovrebbero costituire l’asse portante di una azione di diffusione della lingua italiana.
Il fatto che alcuni degli Istituti abbiano raggiunto livelli di qualità eccellenti, riconosciuti all’estero, non cancella i limiti strutturali che nel tempo si sono sedimentati.
Non esiste dunque solo un problema di riorientamento/razionalizzazione della rete. Si tratta di riprendere in mano la leva dell’autonomia attraverso innanzitutto professionalità preparate a compiti sempre più complessi e non riducibili a poche e statiche figure burocratiche. Flessibilità, qualità, competenza, sono oramai requisiti necessari per essere protagonisti nello scenario mondiale. L’alternativa a tutto ciò non può essere la progressiva riduzione e soppressione degli Istituti di Cultura Italiana all’estero, perché ritrarsi da questa dimensione internazionale, significa produrre un danno rilevante al sistema-Italia. Con un ruolo certamente diverso, anche le scuole italiane all’estero concorrono alla diffusione della lingua. Il nostro Paese dispone di 140 scuole, di cui 8 statali.

Il loro curricolo interamente in italiano su tutte le materie deve essere rivisto nel futuro altrimenti questi istituti faticheranno ad intercettare sia la domanda degli italiani di seconda generazione, sia la domanda di stranieri che vorrebbero avvicinarsi alla lingua italiana per un investimento anche di tipo professionale.
Oltre gli 8 istituti,il panorama scolastico appare sempre più frammentato e complesso. L’inserimento nel curricolo di un paese straniero della lingua italiana, avviene con modalità diverse da Paese a Paese in relazione al dispiegarsi di molte variabili (in primis l’accertamento della domanda e le normative dei diversi Paesi) e soprattutto alla capacità di muoversi in un labirinto complesso di relazioni politiche e diplomatiche. E’ infatti del tutto evidente, rispetto alla fase che ancora caratterizzava gli anni 70-80 (la domanda dei nostri emigrati che chiedevano per i propri figli, anche come espressione della propria ricerca di identità, una opportunità di apprendimento della lingua italiana) che oggi la situazione sia caratterizzata di una persistente multiformità: c’è una domanda dei figli di seconda generazione dei nostri emigrati; ci sono cittadini stranieri che esprimono una domanda di lingua, come opportunità per interloquire con esperienze professionali e produttive; ci sono cittadini stranieri che aspirano a una conoscenza della lingua italiana per meglio comprendere il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese; ci sono cittadini stranieri che aspirano a una competenza linguistica per agevolare, con il complemento della propria lingua, i processi di inserimento sociale e professionale dei propri connazionali immigrati. Insomma, prepotentemente, avanza il bisogno di una competenza linguistica di italiano L2. Ma chi può assicurare la formazione a questa competenza? Come collocarla nel mercato del lavoro dei docenti? Quali percorsi di carriera? C’è qui un ampio
margine di ricerca ed elaborazione oggi al centro delle esperienze di alta qualità che sono in corso presso l’Università di Siena; esperienze essenziali per rimettere mano ai processi di formazione e reclutamento del personale.

Il nodo centrale della governance
Le criticità evidenziate pongono come centrale il tema della governance. Frammentazione e dispersione (di risorse, energie, processi) giocano infatti un ruolo determinante nella debolezza del complessivo sistema per la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero.
Su questo versante vano dunque ricercate nuove ipotesi di lavoro, in grado di attenuare e possibilmente superare le attuali criticità. Fino a quando la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero resterà un settore, per quanto prestigioso, delle attività del solo MAE, difficilmente la debolezza politica oggi evidente, potrà essere compiutamente superata. Ma se diventano parte delle politiche generali del Paese, allora il centro della governance di questa politica deve essere il Governo in prima persona. Nasce da qui l’idea di una agenzia “autonoma” che costituisca il luogo della individuazione delle linee strategiche alle quali orientare le scelte da implementare sui diversi versanti. Una simile impostazione è già presente in alcuni Paesi europei (ad esempio Francia e Spagna in cui pesano però storie e tradizioni importanti che hanno condizionato fortemente le politiche sulla diffusione di quelle lingue) potrebbe costituire il livello centrale del governo strategico delle politiche.
Tale agenzia preferibilmente collocata presso la Presidenza del Consiglio deve, per poter contare su una forte capacità di azione, assicurare la sinergia dei responsabili dei diversi dicasteri. Nella definizione della sua composizione, bisognerà tener conto di una significativa rappresentanza dei soggetti culturali e scientifici in materia, in primo luogo le tre università che si occupano specificatamente della formazione e la diffusione della lingua italiana (Siena, Perugia, Roma3) ma anche personalità di spicco, del mondo della cultura, della scienza e della scuola, che hanno mostrato interesse a tale impresa. Per quanto riguarda in particolare la Rai, la nuova concessione del servizio pubblico che il Governo afferma di voler approvare entro il 2014, deve esplicitare le linee di indirizzo necessarie per sviluppare questo tipo di attività in grado di implementare nei rispettivi dicasteri le linee decise a livello generale ma anche in grado di formulare proposte ed ipotesi di lavoro. Il problema della governance resta dirimente anche nelle politiche territoriali.

Siamo infatti in presenza di una frammentazione generale dove l’autonomia è sinonimo di separatezza e reciproca estraneità. Inutile dire che in un simile contesto anche la risorse finanziarie, progressivamente esposte in questi anni a tagli molto pesanti nel settore, non riescono a produrre esiti significativi mentre appare palese il rischio di sprechi e gestione dispersiva dei processi. Occorre dunque immaginare anche per questo livello una innovazione di governance. E si tratta, peraltro, del livello in cui si incrociano i tanto discussi Istituti Italiani di Cultura all’estero. Proprio nei mesi scorsi, tra chiusure di annunci e chiusure realizzate, tra appelli al mantenimento degli istituti e richiesta di rinnovamento degli stessi, si è consumato anche sulle pagine dei quotidiani un difficile dibattito tra il mondo della cultura e il MAE.

Siamo convinti che l’abolizione o la progressiva riduzione degli ICC, non sia la prospettiva giusta da perseguire, anche se non possono essere ignorate le giuste critiche su gestioni spesso discutibili e modelli gestionali troppo affidati alla buona qualità e riuscita dei Direttori responsabili.

Si tratta dunque di valutare se, con le opportune modifiche, normative ed organizzative, gli attuali ICC possano diventare “reti o centri territoriali” in grado di dirigere, coordinare e vigilare l’insieme delle attività (dalle iniziative culturali, alle scuole, ai corsi) che si svolgono su quel territorio, attivando le opportune intese con i Paesi ospitanti e praticando sul campo una vera autonomia, gestionale, finanziaria e progettuale, di cui assicurare la puntuale rendicontazione.
Affinché ciò sia possibile occorre pensare a nuove professionalità in grado di soddisfare le diverse funzioni ipotizzate: capace di assicurare sia la gestione politico-istituzionale della rete, sia la gestione tecnico-amministrativa della stessa.
In questo nuovo quadro normativo, dovranno inoltre essere definite le nuove regole cui dovranno attenersi anche quegli enti gestori che intendessero far parte del sistema pubblico integrato. Andranno pertanto definite nuove norme per l’accreditamento, il funzionamento, il requisito del rilascio delle certificazioni, gli standard di qualità del personale impegnato, in modo di assicurare, sia pure in un contesto più aperto e flessibile dell’attuale, la centralità dell’intervento pubblico e la qualità complessiva del sistema.

Il Livello territoriale “periferico”
I problemi di spesa sono destinati ancora a pesare pesantemente nello sviluppo delle politiche auspicate e inoltre, lo sviluppo del processo di unificazione dell’Europa da una parte, e le esigenze di insediamento in nuove ed importanti aree del mondo (Sud est asiatico, Cina e Thailandia, America del sud), determineranno prevedibilmente spostamenti e nuovi assetti della nostra presenza nel mondo.
In buona sostanza, la rete sia pure rinnovata degli attuali ICC, non potrà coprire per un periodo non breve l’intero spazio della politica estera del governo italiano.
Eppure anche a questo livello “periferico” (ma non certo in senso politico – economico), va assicurata una capacità di intervento sul modello delle reti/centri territoriali di cui sopra. In questi contesti di “confine”, inevitabilmente flessibili per un certo periodo, le funzioni che abbiamo indicato per il livello precedente, potrebbero essere assunte dalle nostre Ambasciate o Uffici consolari, valorizzando e promuovendo competenze specifiche per gli addetti culturali e un team di collaboratori. Verrebbero in tal modo a configurarsi, in maniera graduale ma non meno efficace, le condizioni ipotizzate per il livello territoriale “avanzato” già descritto.
Sarebbe davvero importante, sul piano politico e culturale, dedicare uno specifico spazio a questa importante questione, nel grande scenario dell’EXPO 2015.

Un nuovo quadro normativo
Una governance così concepita necessita certamente di ulteriori modifiche del quadro legislativo, a partire dalla sburocratizzazione del sistema e la promozione, effettiva, di una autonomia didattica, finanziaria, e progettuale, in grado di poter leggere ed interpretare i vecchi e nuovi fabbisogni formativi, misurandosi positivamente con le realtà locali dei Paesi ospitanti ed assicurando un’offerta formativa a tutto tondo, dall’istruzione dei giovani all’educazione degli adulti.
Una simile prospettiva richiede la realizzazione di modelli didattici e pedagogici innovativi e di qualità. Tale obiettivo potrà essere conseguito solo attraverso la formazione del personale dirigente, amministrativo e docente. Formazione e reclutamento del personale, costituiscono pertanto uno snodo centrale che dovrà essere compiutamente realizzato anche attraverso la contrattazione collettiva.

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Manifesto per promuovere la Lingua e la Cultura Italiana nel mondo

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Immagine in testata di Wikipedia (licenza free to share)

Fulvio Fammoni

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