Curricoli e progetti, una vision per il futuro

C’è grande confusione nelle scuole, un diffuso disagio dovuto al fatto che non si distingue più il curricolo dal progetto. Da un lato si programma la didattica per obiettivi, per competenze e, pur anche, per conoscenze (sotto forma di Unità Didattiche o Unità di Apprendimento), mentre dall’altro, si progetta di tutto, dalla cittadinanza globale a quella digitale, dalla cucina etnica all’inclusione, e così via. Le scuole sono state invase da finanziamenti di diverso ordine di grandezza, spesso, presentati come la soluzione di tanti mali: dalla carenza tecnologica al sentito bisogno di una formazione efficace. Oggi, nulla terrorizza di più un docente, un’amministrazione e un dirigente scolastico dell’acronimo P.O.N. (Piano Operativo Nazionale sostenuto dai Fondi europei). A questi, ovviamente, si devono aggiungere i progetti sponsorizzati dagli Enti locali (comuni e regioni) e da altre istituzioni pubbliche, tanto per fare due esempi, dal Dipartimento delle pari opportunità o dal Ministero dello sviluppo economico.

I progetti sono sempre stati presenti nella scuola, sin dall’introduzione del Fondo di Istituto, e sono stati un’opzione del docente o di gruppi docenti che, in virtù della loro sensibilizzazione ai problemi didattici e sociali, hanno sempre “scelto” temi e modalità, contenuti e metodologie. Da alcuni anni a questa parte, soprattutto dopo la Legge 107/16, le aree tematiche sono state sistematizzate e sottoposte alla macchina del finanziamento europeo. Naturalmente, come accade usualmente in Italia, le procedure di progettazione, selezione, sviluppo e rendicontazione, oggi completamente digitalizzate, non sono state sostenute da opportuna formazione. Inoltre, anche quando  in presenza di formazione – spesso parziale e insufficiente –, il peso della gestione e della quantità di operazioni da espletare sulle piattaforme e nella pratica dell’azione progettuale, senza necessarie e chiare direttive procedurali, è tale da spossare la ordinaria tenacia del docente. Insomma, in mezzo a questo bombardamento, piuttosto selvaggio (apparentemente ordinato da bandi pubblici), il docente e lo studente, ancor più la famiglia, non capiscono più cos’è necessario, e cosa non più, per lo sviluppo e la crescita del cittadino. Un’identità in crisi, una didattica in crisi: conta di più, la disciplina o il progetto? È obbligatorio l’uno o l’altro, o entrambi? Il diritto allo studio, e soprattutto all’apprendimento, è determinato dal curricolo disciplinare o dall’insieme dei progetti aperti sui diversi spaccati della nostra esistenza formativa? Ma, ancora più importante, c’è interferenza tra curricolo e progetto e, se sì, quanto incide sulla vita di tutti nella scuola? Nulla di tutto ciò è chiaro, e per questo esistono infiniti malumori che certificano la stanchezza e il limite raggiunto dalla condizione del lavoro nelle scuole, un po’ da parte di tutti. E se è vero che la valutazione è un punto forte nella relazione tra scuola e studenti, non si ha più una misura del valore delle attività da certificare come “apprendimento acquisito”. Grandi problemi, enormi.

 

La moltiplicazione dei distrattori viene da lontano.

Il primo distrattore è dato dalla apparente sostituzione dei vecchi programmi ministeriali con le Indicazioni nazionali. Apparente perché, come è noto, gli Esami di Stato del terminale del primo e del secondo ciclo sono ancora tarati sui vecchi programmi disciplinari (obiettivamente più flessibili per il terminale del primo ciclo per come sono costituite le classi di concorso, ad esempio la A28 e la A60 per le discipline scientifiche, l’una per la matematica, le scienze, la geologia, la biologia, la fisica, la chimica e l’altra per la tecnologia e l’informatica). Una progettazione didattica fondata sulle Indicazioni nazionali è di ‘per sé’ molto aleatoria perché lasciata all’autonomia della docenza che spesso si traduce in elaborazioni di percorso autoreferenziali fuori dal controllo degli organi collegiali (consigli di classe e dipartimenti). I curricoli quindi vivono una profonda intrinseca tensione: da un lato, la “necessità” di seguire il canovaccio del programma disciplinare, e dall’altro, la “libertà” di ‘fare altro’ o di organizzare gli studi con quella flessibilità insita nella facoltà di costruire percorsi indotti dai bisogni formativi ‘non istituzionali’ (indotti dai bisogni territoriali o sociali come l’inclusione, la salvaguardia dell’ambiente o la partecipazione sociale). Difficilmente, questi ultimi, riescono a far corpo con la didattica disciplinare per competenze o per obiettivo.

Il secondo distrattore è dato dalla ‘natura del progetto’ o dal trasferire i percorsi formativi ‘non istituzionali’ di cui sopra in un, cosiddetto, ‘progetto’. Il progetto si distingue dal curricolo perché non necessariamente strutturato con fini istituzionali ‘formali’ (come il profilo disciplinare in uscita da certificare), ma limitato nel tempo e nei contenuti. Il progetto ha un inizio e una fine, nasce con un obiettivo di processo che finisce con un prodotto ‘finito’. I contenuti sono funzionali al progetto e i tempi sono quelli concepiti per la realizzazione del prodotto con un cronoprogramma che solitamente non copre un anno scolastico o un triennio o un quinquennio ma si limita ad alcuni mesi o anche ad alcune settimane. L’azione progettuale confligge con le metodologie di lavoro necessarie al curricolo e il docente vive una duplice natura, quasi schizofrenica, altalenante tra il curricolo e il progetto. Non si capisce in che modo il progetto s’integra, se mai s’integra, con il curricolo e, viceversa, quando e come il curricolo può essere di supporto a un progetto. Spesso gli apprendimenti disciplinari avvengono in spazi e tempi diversi dai bisogni di progetto: se per un progetto occorre saper fare un calcolo numerico, spesso il curricolo è strutturato in modo tale che quel calcolo numerico s’impara in tempi diversi. Inoltre, lo stesso fine del calcolo numerico, se concepito nel curricolo per raggiungere alcuni obiettivi formativi, non corrisponde al fine stringente e limitato del percorso progettuale.

Che fare? Nella seconda parte (di prossima pubblicazione), saranno proposte delle soluzioni, frutto del lavoro sui curricoli svolto, di recente, dal Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica.

Arturo Marcello Allega