Autonomia e curricolo

Nel comma primo del regolamento dell’autonomia scolastica, il DPR 275 del 1999 si afferma: “L’autonomia si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione miranti allo sviluppo della persona umana … tali da garantire ai soggetti coinvolti il successo formativo coerentemente con gli obiettivi generali dell’istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento”.

La scuola del curricolo nasce con l’autonomia scolastica dal punto di vista giuridico, mentre da quello culturale era nata molto tempo prima. Con l’autonomia scolastica in pratica sparisce il termine programma e nell’art. 8 del regolamento c’è scritto che il Ministero della P. I. dà le indicazioni nazionali, e le scuole costruiscono il curricolo a partire da esse. Le scuole hanno più autonomia rispetto al centro, e pur possedendo una certa autonomia anche prima del 1999, ora la vedono riconosciuta giuridicamente e dal 2001 anche costituzionalmente con la modifica del titolo V della Costituzione.

Ma quale è il senso dell’autonomia scolastica e il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo? Quale è la mission dell’autonomia scolastica?

È garantire a tutti gli alunni il successo formativo, e già nel comma 1 c’è scritto che lo si può raggiungere migliorando l’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento. Invece, le interpretazioni prevalenti, date in questi 10 anni all’autonomia scolastica, non c’entrano nulla con questa finalità; è un’autonomia che si è persa per strada perché è stata interpretata come la possibilità di fare giochini organizzativi, tipo togliere i cinque minuti dall’ora per avere un monte ore che consente di offrire nuove cose. Se queste scelte non sono collocate all’interno di un processo, che ha come finalità migliorare il successo formativo degli studenti, non sono strategie utili. L’autonomia è stata interpretata, spesso, come autonomia organizzativa fine a se stessa e/o come ampliamento dell’offerta formativa, la cosiddetta scuola dei progetti, o “progettificio permanente”.

Allora, perché è necessario progettare nell’ottica del curricolo? Perché c’è bisogno di innovare costantemente il modo di far scuola, per garantire il successo formativo, dove per successo formativo non intendo dare il 6 agli analfabeti. È ovvio che non sono un nostalgico dei voti, che oggi sembrano tornare di moda, dei 3 e dei 4 (nella scuola media si ha la sensazione invece che la possibilità di dare i voti sia stata accolta da non pochi insegnanti come “finalmente potrò dare quello che l’alunno si merita!”). Non sono un nostalgico di quella scuola, però se successo formativo significa portare alla fine della scuola media un 30/40 % di semianalfabeti a cui abbiamo dato la sufficienza, questo non è successo formativo.

Significa garantire la formazione di base in tutte le materie scolastiche a tutti gli studenti; per cui quando sento che ci sono progetti extracurricolari o aggiuntivi che concorrono al successo formativo, vorrei capire in quale misura concorrono allo sviluppo delle competenze in italiano, in matematica, in scienze, o in qualche altra materia scolastica. Si dice, però, che con i progetti, in genere, gli alunni stanno bene (e vorrei vedere che vengano fatti per farli star male!), ma lo star bene è l’aspetto relazionale: di per sé il problema non è qui, perché se facciamo matematica vuol dire allora che li facciamo star male e compensiamo con uno star bene fittizio; il problema è far star bene l’alunno quando trattiamo le materie scolastiche, non quando facciamo cose marginali.

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Carlo Fiorentini