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Il trionfo del neoperbenismo

Pubblicato il: 15/04/2010 18:02:17 -


Temo i neoperbenisti della “vera” cultura, della “vera” educazione, che parlano sempre dell’ignoranza e della maleducazione e che non rischiano mai un gesto men che composto, non rischiano mai una parola men che forbita, non rischiano mai nulla perché non possono e non devono dare “troppa confidenza”.
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La scuola sta sempre sul banco degli imputati per gli episodi di violenza e di lassismo morale che si verificano nelle aule di tutta l’Italia. L’ultimo è quello di Salò, dove una ragazzina di 12 anni sarebbe stata violentata in classe mentre l’insegnante interrogava. Quando avvengono queste cose, gli insegnanti, chiamati in causa, talvolta addossano le responsabilità su una presunta società e su una presunta famiglia, quasi che essi stessi non siano membra vive di questa società e, in molti casi, impegnati anch’essi nell’educazione dei figli. È di tutta evidenza che i figli degli insegnanti non sono migliori né peggiori degli altri ragazzi. Sono anch’essi parte di questa società.

Capita di ascoltare anche delle critiche tutte interne al pianeta-docenti. Una di queste sarebbe rivolta da parte degli insegnanti fautori delle regole, dei ruoli e della “giusta distanza” nei confronti dei presunti “insegnanti-amici”, quelli cioè che nella relazione educativa immettono massicce dosi di empatia, di disponibilità, di confidenza. Questi insegnanti-amici darebbero cioè il cattivo esempio con la loro permeabilità alle regole, con il loro linguaggio, con il loro (anche questo viene detto) modo di vestirsi.

Assisto a un rigurgito di autoritarismo da cinque in condotta che affronta i problemi a valle fingendo di affrontarli a monte. Alcuni insegnanti si ritagliano addosso un neoperbenismo in base al quale guardano al mondo giovanile da un osservatorio ricco di valori, di cultura e di senso delle regole. Siamo in piena laudatio temporis acti e il paradosso consiste nella circostanza che non raramente a praticare siffatta laudatio sono insegnanti giovani, che non si capisce bene che tipo di adolescenza abbiano avuto o in quale college abbiano trascorso i superedonistici anni ‘80.

Occorre a mio parere evitare di mettere dentro uno stesso fascio stili educativi diversissimi e inconciliabili. Anzi, a dire il vero, non è neppure il caso di parlare di stili educativi. In realtà la confusione prodotta dai neoperbenisti consiste nell’accomunare la relazione educativa fondata su alcuni presupposti che ora andrò a esplicitare con un qualunquismo morale che interpreta la scuola come mero cameratismo o intrattenimento sterile, infarcito di turpiloquio gratuito e di atteggiamenti pateticamente trasgressivi. Una simile confusione non fa bene alla scuola perché, per il desiderio di prendere le distanze dalla deriva or ora descritta, rischia di incoraggiare quelle tendenze mai sopite all’autoritarismo che trovano sponda, talora, in alcuni illustri opinionisti ? di tutte le matrici politiche ? fautori del cinque in condotta.

Quali sono, dunque, i possibili presupposti di una relazione educativa che sapientemente riesce a tenersi distante dal qualunquismo come dal neoperbenismo avanzante?

Il primo presupposto, a mio parere, riguarda la necessità di non ritirarsi aprioristicamente e sdegnosamente dall’universo dei ragazzi. In altri termini ciò vuol dire da un lato evitare di dimenticare quanto di effimero, di superficiale, di insensato, di ridicolo ha attraversato anche le nostre esistenze all’età dei nostri alunni; dall’altro evitare di pensare che, se anche impegno, serietà e cultura hanno fatto parte delle nostre vite giovanili, sol per questo le nuove generazioni debbano riprodurre analogo impegno, analoga serietà, analoghe modalità culturali.

Il secondo presupposto riguarda la circostanza che la relazione educativa è mediata dai saperi, dai temi, dagli argomenti, dalle questioni che si affrontano in classe. C’è poco da fare. Occorre ripensare contenuti e modalità della loro ricostruzione formativa. Molta scuola, nei bienni delle superiori, anche nei tecnici e nei professionali, è ancora una scuola frontale e formale, una scuola del libro di testo, una scuola della ripetizione, dell’interrogazione e della sanzione valutativa. Può andare bene per alunni motivati, e non è più neppure tanto certo, ma la percentuale degli alunni motivati scende ogni anno sempre di più e non per questo ci si può rassegnare, quasi che l’unica scuola possibile sia quella che, in fondo, riveduta e corretta, abbiamo ricevuto noi.

Il terzo presupposto riguarda ancora i ragazzi e la loro sete di relazioni vere e significative con gli adulti. La serietà e lo spessore pedagogico non si vedono dalla capacità di porre regole, ruoli e barriere. L’insegnante serio non è l’insegnante severo e autoritario. I neoperbenisti ritengono che si debbano “tenere le distanze”, ma si ingannano perché non comprendono che sono proprio le distanze a generare molti dei comportamenti trasgressivi e devianti che essi stessi deplorano. Sono proprio le distanze a impedire all’autorevolezza di una relazione educativa di incidere sulle esistenze fragili di questi ragazzi. Nella relazione educativa il contrario della distanza non è il qualunquismo pedagogico. Il contrario della distanza è la capacità di intercettare comunque quello che sta dietro l’effimero, dietro l’insulso, dietro il turpiloquio, dietro la violenza, se vogliamo. E comunque il contrario della distanza è quella “cosa” di difficile definizione che fa percepire a tutti i ragazzi, non uno di meno, che il suo interlocutore insegnante è uno che è stato ragazzo, che se lo ricorda bene e lo sa raccontare.

Più degli insegnanti-amici o dei pedagogicamente qualunquisti temo i neoperbenisti della “vera” cultura, della “vera” educazione, che parlano sempre dell’ignoranza e della maleducazione e che non rischiano mai un gesto men che composto, non rischiano mai una parola men che forbita, non rischiano mai nulla perché non possono e non devono dare “troppa confidenza”. Temo che l’ondata di neoperbenismo che si sprigiona per colpa di pochi insegnanti non all’altezza del loro compito finisca per sommergere anche quei tentativi pedagogicamente seri che invece accettano qualche rischio pur di istituire una vicinanza significativa con le nuove generazioni.

Maurizio Muraglia

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