Segregazione scolastica e scelta delle famiglie: spunti per un protocollo d’intervento. Il ruolo dell’ente locale – di Sabina Banfi

Education2.0 sta seguendo da qualche tempo un’esperienza di studio del sistema di integrazione negli USA cui hanno partecipato esponenti di diversi settori che, in diversa misura, sono coinvolti nel processo di integrazione a scuola. Oggi vi proponiamo un intervento di Sabina Banfi, Direttore Area Servizi scolastici ed educativi del Comune di Milano, fra gli autori del libro di prossima pubblicazione su questa esperienza.

 

La redazione

Il Politecnico di Milano ha pubblicato recentemente i risultati di un’interessante ricerca sul tema della segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo del territorio milanese, utilizzando la base dati fornita del Comune di Milano attraverso il servizio di anagrafe scolastica. Dalla ricerca  emerge che la scuola pubblica in diversi contesti territoriali milanesi non riesce a ridurre le disuguaglianze sociali e le differenze etniche ma finisce per ampliarle e radicalizzarle.

La ragione non è strettamente legata all’offerta formativa delle scuole anche se le scuole con programmi di integrazione sociale e multi-culturale attraggono soprattutto studenti stranieri, finendo per accentuare paradossalmente la segregazione scolastica. La causa più rilevante è la “fuga degli italiani”: infatti circa il 50% dei bambini di scuola primaria e secondaria di primo grado non frequenta la scuola di quartiere e circa un terzo degli studenti frequentanti la scuola pubblica si muove dal proprio bacino scegliendo scuole diverse da quelle del suo contesto territoriale di riferimento. Inoltre a Milano un bambino su quattro viene iscritto nelle scuole paritarie. Questi movimenti producono in alcuni plessi fenomeni di vera e propria segregazione scolastica dove la presenza di studenti stranieri e di studenti in condizione di disagio socio economico è significativamente superiore rispetto al territorio di riferimento.

È il fenomeno del white flight, ovvero l’abbandono dei territori periferici da parte delle famiglie italiane di classe media e medio-alta, verso scuole paritarie oppure verso scuole pubbliche meno etnicizzate e con la maggioranza di allievi con background familiare simile. Chi si occupa di scuola è concorde nel ritenere che eccessive concentrazioni non favoriscono l’apprendimento e che, soprattutto nelle grandi città dove questi fenomeni sono più marcati, diventa urgente governare questi fenomeni. La scuola di bacino infatti crea comunità, attaccamento al territorio, senso di appartenenza. Costituisce un antidoto efficace alla percezione di sradicamento tipica dei giovani studenti stranieri. Ma in particolare l’ente locale come può intervenire in queste dinamiche? A Milano, come altrove, le scuole non sono tutte uguali. Sono diverse per contesto territoriale, per composizione socio economica e culturale, per struttura, per realtà organizzativa più o meno stabile, per tradizione di insegnamento, per livelli di partecipazione dei genitori. Sono diverse per opportunità e per capacità. Sono diverse per la loro abitudine di fare rete, tra loro e con il territorio, per il loro grado di apertura alla società. Per questo l’ente locale deve innanzitutto essere attivatore di tavoli di coordinamento e confronto con gli organismi e le istituzioni che a diverso titolo si occupano di scuola: l’ufficio scolastico regionale e territoriale, le autonomie scolastica e la città metropolitana. Il comune deve promuovere una rete scolastica equilibrata, evitando che alcune scuole crescano a dismisura ed altre si svuotino.

Occorre quindi essere consapevoli che gli interventi concreti, in termini di servizi erogati, sono una potentissima leva per incidere sulla capacità di attrazione di una scuola. Ecco che allora diventa una leva fondamentale investire nelle strutture scolastiche per renderle più attraenti. Intervenire con investimenti in materia di edilizia scolastica nei territori periferici e caratterizzati da scuole poco attrattive può spingere l’utenza a privilegiare questi plessi. Occorre anche intervenire con l’organizzazione di attività curriculari ed extracurriculari che intercettino i bisogni e gli interessi delle famiglie e che siano più caratterizzanti l’offerta dell’istituzione scolastica. In modo molto concreto, ad esempio, la decisione di attivare servizi di ampliamento dell’orario scolastico e anticipazione dell’apertura in un plesso piuttosto che in un altro all’interno della stessa autonomia scolastica o in un quadrante urbano potrebbe essere determinante ai fini del contenimento di fenomeni di evitamento.

Di più, il ruolo dell’ente locale può essere molto ben agito in ordine alla promozione di reti di scuole, tra scuole più capaci di progettare, aggredire fondi, promuovere proposte formative innovative e scuole che in questi contesti si muovono con più difficoltà.

L’ente locale deve mettere insieme realtà territoriali differenti per fare in modo che ci sia un effetto traino da parte delle realtà più attive a favore delle scuole più svantaggiate, deve promuovere interventi propri o di terzi soprattutto laddove è più faticoso trovare adesioni, capacità e competenze. Tutto questo comporta un cambiamento culturale forte anche in chi lavora all’interno degli enti locali e lo sviluppo di nuove professionalità. Nuove sfide dunque che indicano come il sistema educativo sia sempre più connesso alle policy locali.

 

Per approfondire:

Se anche la scuola diventa ghetto, di stranieri e di italiani svantaggiati: il caso Milano – di Vittoria Gallina

Sabina Banfi