Cuanta pasión! L’altra faccia della medaglia

La scuola si racconta e si lascia raccontare, attraverso i libri, le raccolte di espressioni che mettono in ridicolo insegnanti e alunni, uniti e compartecipi di un vivere o sopravvivere al desiderio di cultura, purtroppo ormai privo di quella vitalità che rappresenta lo spirito di ricerca e di conoscenza. Raccontare è sempre una interpretazione soggettiva della realtà e ognuno trae da essa gli aspetti che più si avvicinano al proprio modo di pensare, alla personale sensibilità, al proprio bagaglio culturale che rappresenta un filtro necessario per sistemare le tessere di un mosaico, la trama di un racconto e di una storia. E allora perché non risvegliare quel sano e vitale ottimismo, quella voglia di non essere solo un distaccato “osservatore” della realtà? Insomma non dare tutto per scontato, far sorgere dubbi e interrogativi sulla comunicazione, quel mezzo indispensabile soprattutto in ambito scolastico in cui gli insegnanti e gli alunni sembrano guardare il futuro con occhi stanchi e senza luce.

“Cuanta pasión!” è un libro, come spiega il sottotitolo di “storie di fatica, d’avventura e d’amore nella scuola pubblica italiana”. Fatica, avventura e amore sottintendono sempre i sentimenti, strumenti che spesso nella scuola vengono usati poco e male perché difficili da gestire e controllare soprattutto in questo periodo storico in cui il consumismo ha alzato i suoi altari sacrificali. Raccontare della scuola significa anche scoprire l’altra faccia della medaglia, quella dell’empatia e dell’accoglienza, del coraggio di varcare i confini istituzionali che relegano insegnanti e alunni a mondi diversi e lontani, isole battute spesso da un mare agitato che impedisce scambi e collegamenti. Per attraversare questo mare bisogna avere o risvegliare quello spirito di avventura forse un po’ infantile ma combattivo ed entusiastico che rende gli insegnanti capaci di interpretare il disagio più o meno manifesto, la ribellione e il rifiuto delle regole imposte, il senso di indifferenza e insofferenza verso un mondo adulto sempre più distante.

“Qualche giorno dopo, mentre sono in classe con loro, inizia a nevicare, fitto fitto. È una neve candida, che cade piano, silenziosa, e penso a Cavalcanti e al suo ‘bianca neve scender senza venti’. I ragazzi non se ne accorgono subito perché danno le spalle al balcone. Io continuo a parlare e intanto la neve silenziosa si poggia sui lecci del viale, ed è uno spettacolo commovente. Uno di loro intercetta il mio sguardo, si gira, e di colpo tutti: “La neve! La neve!”. Fanno per correre verso il balcone, quando una ragazzina mi chiede: “Possiamo, prof?”. Sorrido e loro si affollano contro i vetri, sembrano uno stormo di passeri: ridono e danno in esclamazioni di gioia stupita. Aprono le finestre, escono sul lungo balcone e con le mani acchiappano i fiocchi, li mangiano, ridono, saltano. Sono bellissimi. È stupefacente! Sembrano dei rozzi e poi si incantano per la neve. Resto in silenzio e li osservo, sono pieni di anima. Si vede. E io capisco che verso di loro insieme all’odio vero dei giorni andati ho pure questo moto di amore altrettanto vero. E tengo insieme tutto” (Giulia Alberico, “Cuanta pasión!”, Mondadori).

Laura Alberico