Confinamenti, piattaforme e sorprendenti possibilità 

Mi pare lontanissimo il tempo in cui, prima del consiglio di classe previsto per le 14.30 del 4 marzo, un collega mi chiede se avevo letto della chiusura delle scuole in tutta Italia, ipotesi data per certa da alcuni quotidiani.

Il tempo: sono passate poco più di tre settimane e ho l’impressione che sia una vita, anzi un’altra vita, profondamente diversa, rimodulata su scansioni orarie, ritmi, riti quotidiani messi in atto non per scelta. La routine è cambiata e le abitudini consolidate da anni di lavoro all’improvviso sono stravolte dall’assenza, dalla solitudine, da un disorientamento che dà le vertigini.

Le prime reazioni, condivise con ogni mezzo di comunicazione con i colleghi più vicini è sicuramente quella di sgomento; le domande che si affollano nelle nostre conversazioni sono improntate all’incertezza dei tempi, senz’altro all’ansia per la salute, amplificata da notizie confuse e spesso contraddittorie. Però, a parte il virus, il distanziamento, la progressiva chiusura di esercizi pubblici, il confinamento in casa – chiamato chissà perché lockdown – la domanda che aleggia minacciosa per noi insegnanti resta una sola: che fare?

Nei primi giorni, più o meno dal 5 all’8 marzo, i sentimenti più diffusi che ho registrato sono stati inadeguatezza, frustrazione, angoscia, molto verosimilmente per l’impreparazione ad affrontare eventi dirompenti, oltre che imprevisti, con strumenti e strategie quasi tutte da inventare.  La ricerca di soluzioni per una diversa organizzazione del nostro lavoro ci sembrava difficilissima e la scarsa familiarità con le tecnologie sulle quali ci si era aggiornati, con una certa dose di sufficienza e disincanto, ci rendeva nervosi come prima di un esame dal sapore di ordalia.  

Accompagnamento, affiancamento, rassicurazione, erano le richieste che ci venivano rivolte da Dirigenti e Ministra che, nel sottolineare il ruolo della scuola pubblica, ponevano alla nostra attenzione la necessità dell’inclusione, soprattutto nei momenti di crisi. Pesanti come macigni, quelle parole sono risuonate come duro ammonimento per coloro che non fossero riusciti a dare risposte credibili, veloci, efficaci. Inoltre, il tono oltre che i contenuti delle Circolari era tale per cui

la didattica a distanza era da considerarsi un dato di fatto e non una modalità fino a quel momento sperimentata da pochi e, in ogni caso, utilizzata a integrazione e non in sostituzione della didattica in presenza.

Gli ostacoli parevano insormontabili mentre si acuivano disagio e malesseri di vario tipo, unitamente a una irritabilità generale e pervasiva. Ciò nonostante non si smetteva di confrontarsi, non ci si vergognava di chiedere aiuto, lo si offriva appena possibile. La crisi da coronavirus ha dato vita a un importante momento di cooperazione spontanea,  in cui sono emersi la volontà di superare gli ostacoli, la resistenza alla voglia di rinuncia, una buona dose di umiltà e, soprattutto, un’audacia dal vago sapore giovanile (a dispetto dell’età media dei docenti italiani), stimolo formidabile per il confronto col “mostro”, la piattaforma.

Con insospettabile velocità abbiamo raccolto informazioni, provato collegamenti, sperimentato insuccessi, superato frustrazioni, scelto la piattaforma e, finalmente, ci siamo tuffati nel mondo della didattica a distanza – video lezione o video conferenza – e abbiamo, con ingenua meraviglia, scoperto di essere capaci, di poter funzionare a dispetto dell’analfabetismo informatico, delle difficoltà tecniche, delle connessioni instabili, delle indicazioni dall’alto ancor più instabili e vaghe.

Abbiamo addirittura scoperto o finalmente esperito funzioni che ci sono parse utili e interessanti: condividere speditamente immagini, suoni, video ancor più agevolmente rispetto alla Lim o alla smart tv in classe e poi, abbiamo sperimentato il nostro ‘smisurato’ potere nel momento in cui abbiamo messo a tacere un’intera classe con un solo click. Praticamente l’estasi!

Le prime lezioni, affrontate con una certa dose di cautela e timoroso scetticismo sono state accolte  dagli studenti con serafica impassibilità: è emersa in questa occasione, con una forza dirompente, la differenza tra la nostra generazione, quella degli insegnanti quasi nonni, e i millennials, svezzati con  videogiochi scaricati dalla rete, imperturbabili rispetto alla novità dell’ambiente educativo, capaci di adeguarsi a situazioni nuove con sorprendente duttilità nonostante scarse certezze e  una buona dose di creativa confusione.

 I miei circa 160 studenti dell’Istituto tecnico per il turismo Cristoforo Colombo di Roma sono sempre presenti alle lezioni; quasi tutti puntualissimi, arrivano in ordine e con il materiale occorrente a portata di mano; scelgono un angolo tranquillo della casa per il collegamento e si mostrano collaborativi tra loro e con l’insegnante. Stanno studiando con sufficiente regolarità nonostante l’incertezza rispetto alla durata della scuola a distanza, alle verifiche e alle valutazioni, spesso ancora da definire. 

Dal mio osservatorio, necessariamente limitato, il tempo che stiamo vivendo, definito da molti come sospeso, risulta per gli studenti ancor più insopportabilmente diverso e peggiore rispetto a prima di quanto non lo sia per gli adulti; dover rinunciare alla fisicità, al movimento, alla libertà, irrinunciabili a questa età, rende il tempo instabile e precario, cupo, angosciante per i continui riferimenti alla  malattia e alla morte, eventi estranei dall’esperienza della maggioranza di loro e, in ogni caso, tenuti a una giusta distanza per ragioni psicoanagrafiche. Eppure, nonostante le difficoltà, queste ragazze e questi ragazzi, adolescenti di ogni tipo, di tutti i colori, dalle molte lingue e di diversa estrazione, continuano a pensare al futuro senza sospensioni temporali,  con compostezza e tenacia, leggerezza e ironia, con un grande senso del dovere, superiore a quello supposto anche dai più ottimisti tra noi adulti, educatori colti in fallo dal confinamento, fortunosamente ma rapidamente tornati in sella, felici di poter continuare, benché da lontano, il lavoro più coinvolgente, interessante, stimolante del mondo. 

Ornella Pozzuoli