Come ci vedono i ragazzi? Qualche spunto sul ruolo dei docenti nella scuola

Queste riflessioni nascono  da una lettera ai professori scritta da un alunno della mia scuola, il Liceo Scientifico Aristotele di Roma, e pubblicata sul giornalino scolastico a maggio dello scorso anno. In questi mesi mi sono ritrovata spesso a ripensare alla risposta che gli avevo dato privatamente, e quei pensieri di allora sono  parte di una lettura personale di quanto sta accadendo nella scuola.

Alcune premesse sono forse necessarie per non fraintendere ciò che intendo esprimere. Sono una docente di matematica molto vicina alla pensione, ho fatto questo lavoro per scelta, credendoci e cercando di farlo al meglio delle mie possibilità come sono convinta  fa la stragrande maggioranza colleghi che ho conosciuto. 

Un grido di aiuto

Andrea, questo il nome del ragazzo, inizia così la sua lettera: «Aprite gli occhi,  ribellatevi, fate qualcosa. Possibile che non ci sia una reazione da parte di nessuno (o quasi) di voi di fronte alla distruzione dell’istruzione? Di fronte ad un sistema scolastico sempre più riluttante, basato sull’omologazione, sullo stroncare sul nascere ogni tipo di idea divergente dal canonico. La scuola dovrebbe fare dello sviluppo del senso critico negli studenti la sua priorità, invece esso è represso in favore di nozioni che sono facilmente reperibili online in qualsiasi momento…..». E così la conclude: «Confido in voi, anzi, confidiamo tutti in voi. Siete l’ultima speranza di un paese allo sbaraglio, governato da automi incompetenti, che continua a sfornarne di nuovi. Siate i nostri supereroi».

Un vero grido per richiedere aiuto che mi ha portato a riflettere sul mio ruolo e su quello dei miei colleghi in questo tempo difficile.

Penso che la scuola, in quanto istituzione, ora non stia facendo dei grandi progressi, ci si nasconde dietro parole quali innovazione, competenze, tecnologia e via dicendo. Tutte parole contro le quali non ho nulla, anzi che ho utilizzato per innovare, cambiare, informatizzare … ma che hanno perso nel tempo quella carica positiva iniziale trasformandosi in una facciata che spesso non ha molto dietro di sé. 

Ma se identifico la scuola con  i tanti docenti che la portano avanti giorno per giorno sento che  la scuola italiana continua a resistere e promuove la crescita dei giovani e lo sviluppo del loro senso critico proprio grazie agli insegnanti. Non tutti, è vero, molti e forse troppi si accontentano di programmi, contenuti, metodi forniti dai libri di testo o da indicazioni ministeriali senza prendersi la responsabilità di scelte autonome. Ma la scuola è piena di esempi positivi se ripenso alla mia esperienze di questi ultimi quarant’anni.

Il troppo lento ricambio generazionale degli insegnanti

Il ricambio generazionale degli insegnanti sta avvenendo con molta lentezza, complici le disfunzioni burocratiche e i tagli e le difficoltà economiche che impediscono di immettere in ruolo nuovo personale. I nuovi docenti non possono essere chiamati prima di un certo periodo di tempo: io , ne incontro  pochi e se hanno 35 anni li considero molto giovani. Questo implica che i giovani colleghi che entrano in ruolo hanno già alle spalle almeno 7-10 anni di precariato. Sono stati per loro anni in cui i continui cambiamenti di sede, alunni, colleghi hanno impedito di costruire un proprio percorso nella disciplina che insegnano per cui non hanno avuto modo di sentirsi parte attiva nella crescita della scuola in cui lavoravano. La capacità di dare corpo e significato alle riforme, piccole e grandi,  che a ogni cambio di ministro ci sono state proposte, è stata necessariamente delegata ad insegnanti che attualmente hanno tra i 55 e i 65 anni. Questi ultimi sono docenti che si sono formati in un periodo, 1970-1980, in cui i movimenti, studenteschi e non, hanno realmente modificato lo scenario culturale e credono fortemente che far sentire la propria voce sia importante e costruttivo. 

La scuola degli anni successivi al 1980 è stata ricca di proposte didattiche e di cambiamenti, molti di questi ostacolati però dai cambi di ministro e di governo; parallelamente  gli studenti hanno iniziato a non ritenere più necessario e utile far sentire la propria voce. Nelle scuole ci sono sempre stati alcuni studenti attivi e propositivi ma la maggioranza degli studenti non si è più sentita  protagonista della società in cui era immersa. Complice di questa involuzione a mio parere è stato anche lo scenario culturale e politico che veniva loro proposto. Arrivava la televisione commerciale e con questa nuovi ‘valori’ si facevano  strada, quali l’apparire e il possedere: essere ignoranti non era più un limite, l’arroganza e la mancanza di dialogo diventavano prove di superiorità (si pensi ai dibattiti televisivi di allora e di oggi, alle urla o sceneggiate create ad arte). 

Un appello ai giovani insegnanti

Gli studenti di allora sono i ‘giovani’ docenti di oggi, certo non ignoranti o succubi del modello culturale dominante,  ma che hanno risentito di quel cambiamento culturale e del lungo precariato. Quando cambi scuola ogni anno, cerchi di sopravvivere:  non pensi di avere il tempo per stabilire con gli studenti quel dialogo educativo che ti permetterebbe di avere autorevolezza senza essere autoritario;  non pensi di poter scegliere gli argomenti da inserire nel tuo programma e ti adegui a quello che la maggioranza dei colleghi svolge; non pensi di essere proprio tu il punto di riferimento per quel particolare alunno o per quel particolare progetto che aiuterebbe quella scuola a migliorare. Tuttavia  molti altri docenti hanno reagito alla durezza del precariato resistendo, credendo nella scuola come punto di riferimento culturale, nei giovani, subendo così il fascino di un mestiere particolare, nonostante tutte le difficoltà e gli inciampi esistenti.

È  a questi ultimi che l’incitamento di Andrea «Siate i nostri supereroi» deve essere rivolto e a cui mi associo chiedendo loro di avere il coraggio di portare avanti ciò in cui credono senza farsi sommergere dalle ‘consuetudini’, riuscendo a vedere nella scuola un unicum che va oltre la singola disciplina e che deve muoversi in armonia con tutti i suoi attori.

Mi unisco all’appello di Andrea perché ho l’impressione che tra i nuovi docenti ci siano professionisti competenti che però non hanno l’abitudine ad agire per la scuola nella sua generalità, e non solo per la propria classe nella propria disciplina. Scelte quali le modalità del recupero, le modalità di gestione dei momenti collettivi, le attività che vengono fatte per l’inclusione, le attività che vengono fatte per le eccellenze, danno il senso di quello che una specifica scuola si propone. L’atto di indirizzo che il Dirigente propone alle componenti della scuola (docenti, genitori, studenti, lavoratori della scuola) a inizio anno include queste scelte, ma se non sono condivise nella pratica quotidiana dai docenti  rimane solo lettera scritta. Siamo noi docenti che nel quotidiano e nelle decisioni dipartimentali o collegiali diamo corpo a tante parole ed è per questo che chiedo anch’io ai tanti colleghi, che nella scuola sono attenti a imparare, a vedere la scuola anche ‘dall’alto’ e a riprendersi quegli spazi che devono essere nostri.

Giovanna Mayer