Chi ha paura della LIM?
“Ma questa roba ti scimmia!!”. È stato il commento divertito di S. C., studentessa di un liceo scientifico di Milano, al suo primo contatto con una lavagna interattiva. In un ITC di Catanzaro due ragazzini del biennio “portano per mano” i loro Prof (consapevoli e conniventi) a un uso disinvolto della Lim, nell’ambito del progetto Digiscuola. Tutti riscoprono per l’ennesima volta la rapidità con cui gli adolescenti si appropriano di questi mezzi, senza ombra di soggezione, senza leggere manuali, senza paura di sbagliare.
È forse da qui che bisogna ripartire quando si parla di tecnologie per la didattica. Dall’assoluta naturalezza con cui si relazionano tutti i ragazzi, dall’immediatezza con cui metabolizzano una tecnologia nuova, mai vista prima. Qui sta forse il vero, drammatico digital divide con i loro Prof.
Come si fa a difendere l’idea di una scuola dura e pura e uguale a se stessa in un mondo che si allontana a velocità siderale col suo bagaglio di digitali nativi? I loro comportamenti, il loro modo di relazionarsi con la realtà, il loro modo di apprendere, il loro modo di cooperare sono fenomeni che fino a cinque anni fa erano totalmente inediti. E, quel che più sorprende, questi fenomeni sono onnipresenti tra gli adolescenti e uniformemente diffusi.
E sul fronte dei docenti? La situazione è l’opposta. Non esiste una “cultura informatica media”. Si va dall’estremo dei Prof “allergici al computer” ai Prof smanettoni “di riferimento” dalle competenze multiformi, cui i Dirigenti Scolastici affidano nel bene e nel male tutto il processo di introduzione delle tecnologie nella scuola. In mezzo a questi due estremi ci sta la stragrande maggioranza degli insegnanti che svolgono al meglio la loro missione ma sono sempre più impreparati ad affrontare non tanto le tecnologie quanto il temibile confronto quotidiano con una generazione di alieni che nelle tecnologie ci sguazzano.
Al primo incontro le Lim sono guardate con sospetto dai Prof allergici, con sufficienza dagli smanettoni, con curiosità dalla stragrande maggioranza degli insegnanti. La carica dirompente del “portare la tecnologia in classe” è abbastanza chiara a tutti. Pare evidente che questa non sia l’ennesima finta rivoluzione tecnologica che si conclude con laboratori megagalattici rigorosamente chiusi a chiave. Pare evidente che se la Lim arriva in classe non si può far finta che non sia lì. E il Miur preme (giustamente) per evitare che le lavagne finiscano nei sottoscala o in spazi impropri. La curiosità si trasforma per metà in viva (e legittima) preoccupazione: quanto tempo ci metterò ad imparare? quanto tempo ci metterò ad usarla? come gestirò la classe? che figura ci faccio coi ragazzi se sbaglio?
La variabile del tempo e la variabile del rapporto coi ragazzi sono dunque i veri nodi culturali, che stanno a monte dell’uso della Lim. La domanda che viene subito dopo è “ma che cosa ci facciamo con la Lim?”
Alt. Teletrasportiamoci oltre la Manica, e frugando nell’abbondante letteratura di monitoraggio vediamo che cosa ci fanno con la Lim. La prima scoperta è di per sé illuminante: non c’è un modello rigido di riferimento per gli insegnanti britannici. L’uso è totalmente libero, più o meno intensivo, più o meno di appoggio a un modello didattico tradizionale, più o meno innovativo. Gli insegnanti ci proiettano sopra lezioni in powerpoint, immagini, testi e materiali elaborati in classe coi ragazzi, materiali digitali a corredo di libri di testo degli editori, software applicativi specifici della disciplina insegnata, software generici per produrre grafici, tabelle, fogli elettronici, siti web quando è consentita la navigazione in diretta.
E sembra sensato il non aggiungere complessità a complessità. Il solo accettare di confrontarsi coi ragazzi in classe e di renderli parte attiva nell’uso delle Lim è un triplo salto mortale. Già in Digiscuola ci è parso di scorgere un’insofferenza verso un modello d’uso rigido calato dall’alto.
Ha senso piegare l’uso delle lavagne ad altri “modelli”, come le piattaforme di condivisione, i wiki, l’autoproduzione dei learning object, che c’entrano come i cavoli a merenda? Ma quando mai la modalità d’uso di uno strumento innovativo si impone dall’alto? Quando mai l’innovazione vince se ti rende la vita più scomoda?
S. C.