A tutte le donne

A TUTTE LE DONNE
di Alda Merini

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
nonostante le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.

Desidero iniziare questo mio articolo dalla lettura di questa semplice, profonda e sentita poesia che solo una persona come Alda Merini poteva scrivere.

Le immense e gratuite sofferenze a cui la vita l’ha sottoposta hanno scavato solchi profondissimi nel suo cuore animando la penna di quegli scritti di un’immensa ricchezza di emozione ed esperienze che solo lei, quale donna generosa, ha voluto regalare al mondo.

Questo fa capire come dietro a ogni donna si nasconde un incantevole mistero di vita: una vita non solo all’insegna della donna pin up o di una cenerentola o di una creatura di fragile e preziosa porcellana, ma un essere umano potenziato da un’intensità di sentimenti, di dolori, di dedizione, di aspettative di una vita vissuta con coraggio fino in fondo.

La donna raffigurata dai più grandi pittori, come emblema di bellezza, grazia, divinità, magia, amore e dolore, riportata nei libri di storia, spesso, solo come sostegno alle grandi gesta eroiche dell’uomo, pur svolgendo in un dignitoso silenzio azioni di estrema pericolosità e delicatezza.

Mi chiedo se proprio questa sua poliedricità, avvolta da un velo di apparente e per alcuni comoda fragilità, non rappresenti proprio quell’elemento scatenante di pericolosità che l’uomo tanto teme.

Forse tutti gli atti di violenza, da sempre esistititi e che in questo ultimo periodo hanno trovato, purtroppo, un notevole spazio nella quotidiana cronaca nera hanno riportato alla ribalta una problematica e una tematica che ritengo sia giusto e doveroso che si debba affrontare.

La violenza, in quanto tale, non ha colore, non ha sesso: la violenza è violenza da qualsiasi parte essa possa scaturire e di qualsiasi natura si rivesta: fisica o psicologica.

Il problema da affrontare è chi e perché la esercita; chi pensa di sentirsi padrone della vita altrui, chi vigliaccamente approfitta della “debolezza” del più indifeso, chi gode nel far male a un proprio simile, traendone piacere o scaricare le proprie nevrosi.

Occorre capire, analizzare, studiare e proporre metodi educativi affinché questo famelico fenomeno possa essere canalizzato solo in un ambito esclusivamente patologico e di conseguenza come tale affrontato e curato da specialisti nel loro specifico campo d’azione.

Solo una persona malata può commettere atrocità nei confronti di un suo simile. In questo quadro la donna, purtroppo, riveste un ruolo di “tiro al bersaglio”.

La gratuità con la quale l’uomo si avventa sulla donna quasi fosse un piatto da rompere, una bambola di pezza sulla quale sfogare le propri nevrosi, l’irrazionale rabbia, le inconsce paure e le ataviche esperienze da guerriero, le immaginabili congetture di perversi pensieri, rientrano in un settore di un rapporto uomo-donna che ha origini storiche lontanissime e che crea uno sbilanciamento di comportamenti.

Parità fra sessi non significa avere lo stesso peso specifico e neppure ricoprire necessariamente ruoli che sono ben lontani dalla propria natura. Parità a mio modestissimo avviso significa innanzi tutto avere rispetto. Rispetto per la persona, senza ghettizzarla in ambiti prestabiliti che troppo spesso sono stati di comodo per l’uomo.

Parità significa dare spazio e accettare le esigenze dell’altro senza impedirne la realizzazione delle aspirazioni, dei modi di essere, di esistere, di vivere liberamente la propria esistenza, come un preziosissimo dono che non va sprecato o calpestato.

Parità significa riconoscere l’entità di entrambi pur perseguendo percorsi, talvolta diversi, ma non separati. Significa crescere assieme e soprattutto amare senza la pretesa di averne un utile ritorno. Amare senza provare quella folle e insana gelosia che spesso si scatena in situazione incontrollabili, come una nave senza timoniere in preda alle onde in tempesta di un cervello impazzito. Amare significa abbandonarsi ai sentimenti più belli senza per questo sentirsi inferiori e scatenare le proprie limitazioni mentali sulla donna, offendendola non solo da un punto di vista psicologico ma spesso e volentieri usandole violenza fisica quale unico ed esclusivo elemento di comunicazione.

Una società sarà una società sana solo quando non si leggeranno più sui nostri quotidiani di atroci sofferenze alle quali molte donne sono sottoposte. A volte i loro silenzi di fronte alle violenze subite, spesso in ambiti familiari, sono determinati non solo dalla paura di peggiorare situazioni che con il tempo non potranno che degenerare, ma dall’amara realtà che non ci si sente tutelati dalle istituzioni che dovrebbero prestare un po’ più di attenzione, anche quando ci sono delle piccole avvisaglie, che pur se denunciate si concludono con una “tirata di orecchie” per i “cattivi” e null’altro: in attesa che provvedimenti possano trovare una loro attuazione solo davanti a un cadavere.

Si può e si deve cambiare questa situazione iniziando da un processo di educazione nell’ambito familiare, scolastico e soprattutto sociale, offrendo modelli di vita e di comportamenti da risultare necessari per una sana società dove regni la cultura e non l’ignoranza.

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Immagine in testata, il Ratto delle Sabine del Giambologna in una foto di bizzioroma / Flickr (licenza free to share)

Anna Letizia Galasso