A proposito di schwa. Dibattito sull’italiano inclusivo

Per introdurre il dibattito più recente sulla pari dignità di genere nella lingua italiana propongo dieci istantanee.

  1. Licia Troisi, scrittrice di fantasy, spiega per quali ragioni abbia deciso di utilizzare in fase di revisione del suo ultimo romanzo la desinenza neutra, lo schwa (simbolo della “e” rovesciata (?) per il singolare e (?), simile a un piccolo tre, per il plurale). Per la prima volta questo simbolo compare in un romanzo, associato a un personaggio alieno, che appartiene a una razza che non ha sesso, né genere. La scelta dell’alternanza del maschile e del femminile, utilizzata per il personaggio nella prima stesura, appare infatti fonte di confusione per il lettore, sia all’autrice che alla sua editor[1].
  2. Nel campo della divulgazione scientifica Massimo Polidoro ha il primato di introdurre lo schwa in copertina del suo ultimo saggio “Pensa come un? scienziat?”[2]. L’autore motiva la scelta come un modo per evitare il predominio maschile e favorire l’inclusività: Se l’agenda della ricerca viene stabilita da una ristretta comunità di uomini bianchi, occidentali e benestanti, probabilmente non saprà raccogliere adeguatamente tutte le sfide che il mondo di oggi ci pone dinanzi.
  3. Il Ministero dell’Istruzione ha usato di recente lo schwa in una procedura concorsuale universitaria nel settore delle discipline economico-giuridiche. Molti intellettuali hanno sottoscritto senza esitazione la petizione del linguista Massimo Arcangeli, “Lo schwa (?)? No, grazie. Pro lingua nostra”, su change.org. Tra i primi firmatari anche il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini; netto e stroncante il giudizio: Siamo di fronte a una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano a suon di schwa. I promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l’uso della “e” rovesciata” non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuro atipiche.
  4. L’accusa è quella di inaccettabilità dell’uso dello schwa in atti ufficiali e i firmatari della petizione, che ha già superato le 23.000 firme, promettono che seguirà al più presto anche un “Manifesto anti schwa, per bloccarne immediatamente l’uso nella scrittura di natura burocratica e istituzionale.
  5. La scrittrice Michela Murgia, la prima ad utilizzare lo schwa in un articolo su l’”Espresso”, ha rilanciato la polemica con una petizione come controcanto, dal titolo L’apericena? No grazie!”, firmata ironicamente dal Senato dell’Accademia dei Cinque Cereali.
  6. Roberto Saviano intervista Masha Gessen, scrittor? di origini russo-americane, autrice di “Putin. L’uomo senza volto”, che ci tiene a non essere ascritta né al genere femminile, né a quello maschile e che per lungo tempo è stat? l’unica persona dichiaratamente gay in tutta la Russia, subendo una duplice discriminazione, in quanto gay e in quanto ebre?. Per rispettarne la volontà Saviano decide con piacere di usare per la prima volta in un suo testo la vocale schwa, come suggerito dall’amica e collega scrittrice Michela Murgia[3].
  7. Lo schwa è “una toppa peggiore del buco”: così la linguista Cecilia Robustelli, professoressa Ordinaria di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, interviene nel dibattito accademico e avverte che è pericoloso sperimentare sul sistema della lingua, se non si prevedono i contraccolpi che tale intervento può determinare e le sue conseguenze sul piano della comunicazione[4].
  8. Nel catalogo della casa editrice indipendente Effequ, impegnata nella pubblicazione di saggi attenti alle nuove tendenze, troviamo due testi della linguista Vera Gheno sul tema del femminismo nelle parole[5]. La sociolinguista, specializzata in comunicazione digitale, è stata tra le prime a parlare di schwa in Italia e a esprimere la propria preferenza per questo simbolo che «rappresenta la vocale media per eccellenza». Lo considera particolarmente adatto a indicare un genere indistinto, che può andare incontro anche alle persone che si sentono a disagio con il fatto che l’italiano ha solo maschile e femminile.
  9. In occasione dell’inaugurazione del corrente anno accademico la rappresentante degli studenti all’Università di Firenze ha premesso che avrebbe usato il femminile come plurale universale, per fare un discorso inclusivo verso tutte le persone: “noi studentesse”,  “chiuse in casa per mesi”, “siamo il paese con meno laureate in Europa”. Qualche maschile qua e là le è però sfuggito nel corso dell’intervento, forse semplicemente per errore indotto dall’abitudine.
  10. Nei post istituzionali il Comune di Castelfranco Emilia in provincia di Modena ha deciso, tra i primi in Italia, di adottare un linguaggio più inclusivo e risponde agli utenti dei social “Gentilissim?, grazie a tutt? per i vostri commenti e le vostre considerazioni”: come feedback degli utenti a volte commenti di apprezzamento, ma anche forti critiche.
  11. Lo scrittore e blogger Francesco Acanfora si concentra in particolare sul carattere politico e identitario delle istanze che da più parti spingono verso un una lingua che sia maggiormente inclusiva nei confronti delle minoranze e sostiene la necessità di andare oltre l’inclusione, a cui preferisce l’idea di convivenza delle differenze, una convivenza che esprime rispetto e comprensione reciproci tra tutte le persone, a prescindere dalle proprie caratteristiche: Il nocciolo della questione non è se lo schwa sia la soluzione ideale, ma la necessità di aprirsi alla possibilità di sperimentare per far sì che la nostra lingua sia la lingua di tutt?, considerando che non si tratta di cambiamenti imposti da fantomatiche élite, ma di spinte che arrivano dal basso, da chi parla e utilizza quotidianamente la lingua[6].
  12. La storica “Libreria dei Ragazzi”, nata da un progetto innovativo di Roberto Denti e che ha subito raccolto intorno a sé scrittori entusiasti – Mario Lodi, Gianni Rodari, Pinin Carpi, Bianca Pitzorno e tanti altri – compie 50 anni e cambierà la targa: si blogger, chiamerà “Libreria dei Ragazzi e delle Ragazze”, luogo appartiene a tutti. La responsabile Alessandra Storace racconta che già sul biglietto di inaugurazione nel 1972 Denti e la moglie Gianna Vitali avevano fatto scrivere “per i ragazzi e per le ragazze”, ma all’epoca il linguaggio non si era ancora misurato sul tema del genere e nell’insegna era apparso soltanto il maschile. Oggi invece c’è stato un confronto interno anche sull’eventualità di inserire l’asterisco[7].

Se il più largo uso dello schwa avviene in prevalenza negli usi social a opera del mondo dell’attivismo politico, dei movimenti femministi, delle associazioni Lgbtq e altre, da questa carrellata di esempi appare chiaro, tuttavia, che il dibattito sul linguaggio inclusivo comincia a interrogare scrittori, blogger, giornalisti, editori, agenzie di stampa e imprenditori del settore librario, oltre che naturalmente la comunità accademica e il circuito più esclusivo degli studi di genere e dei linguisti.

Nella grammatica italiana ha sempre dominato il maschile sovra esteso o generalizzato: basta, infatti,  che in un gruppo misto sia presente un solo uomo, per declinare il plurale al maschile, non solo i sostantivi, ma naturalmente anche gli articoli, gli aggettivi e le preposizioni.

Per evitare la discriminazione di genere è  in uso ormai stabilmente da parte di tutti gli oratori pubblici l’abitudine del raddoppio – “bambini e bambine”,”ragazzi e ragazze”, “cari tutti e tutte”-, che può per certi versi appesantire l’eloquio o il testo scritto, ma ha senza dubbio il pregio di garantire una maggiore inclusività linguistica.

Si sperimenta per cercare di superare il maschile sovra esteso e il binarismo di genere, anche l’uso più agile di un simbolo o segno fonetico e morfologico neutro per indicare un plurale né maschile né femminile: l’asterisco (*) al posto dell’ultima vocale,  oppure la chiocciola (@), o la vocale “u”, che ha il limite, però, di denotare in alcuni dialetti il maschile.

La discussione negli studi di genere e in linguistica si è animata e più di recente viene proposta come soluzione lo schwa, al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone.

L’Accademia della Crusca – come già segnalato – prende le distanze e ribadisce alcuni punti fermi: l’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti[8].

Marco Stancati, comunicatore, formatore e docente alla Sapienza di Roma, prende atto dell’abitudine sempre più diffusa di inviare messaggi che contengono simboli per aprire all’uso di un linguaggio inclusivo, ma  si chiede se abbiamo veramente bisogno degli asterischi e dello schwa.

Da alcuni questa abitudine viene considerata una forma di violenza alla lingua, un’inutile acrobazia linguistica con conseguenze gravi sul piano della comunicazione e con il rischio di ledere a fondo e in maniera irreparabile la struttura logico-grammaticale della lingua e di polverizzarne la coesione; una forma di perbenismo, superficiale e modaiolo, di deriva linguistica e di perdita di un processo di evoluzione linguistica e culturale secolare. Per non parlare del fatto che leggere ad alta voce un testo infarcito di “schwa” risulta essere un’impresa pressoché impossibile e già questa motivazione pratica basterebbe per accantonarne definitivamente l’uso. Sembra più praticabile semmai introdurlo nella lingua scritta.

Altri sostengono, invece, che le discussioni sulla lingua che cambia fanno bene in ogni caso e plaudono a un passo avanti nell’evoluzione della lingua per stare al passo con i tempi, sconfiggere gli stereotipi e concorrere alla realizzazione dell’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030[9].

Siamo di fronte a una materia complessa, a un processo culturale e comunicativo con poche certezze, tante polemiche e lamentele dai toni accesi, atteggiamenti eccessivamente conservatori, arrocchi sdegnosi e prove di forza degli stereotipi, ma anche fughe in avanti giudicate pericolose, accompagnate da eco massmediali  per gli aspetti che possono intercettare l’interesse e l’adesione del grande pubblico. La bussola non potrà che guidare verso l’obiettivo di valorizzare la lingua comune intesa come bene culturale”, da preservare in una dimensione non museificata, più rispettosa che in passato della convivenza delle differenze di genere e delle pari opportunità nelle pratiche linguistiche, ma neppure subordinata a logiche affrettate e non prive di contraccolpi e conseguenze sul piano della comunicazione.

Il dibattito è solo agli inizi.

 

[1] L. TROISI, Poe. La nocchiera del tempo, Rizzoli, 2022; S. COLOMBO, Scienza e schwa. Licia Troisi va oltre i generi, in “La lettura”, 6 marzo 2022

[2] M. POLIDORO, Pensa come un? scienziat?. Come coltivare l’arte del dubbio, Piemme, 2021

[3] R. SAVIANO, intervista a Masha Gessen, in “Corriere della sera”, 23 marzo 2022.

[4] C. ROBUSTELLI, Lo schwa? Una toppa peggiore del buco, in “Micromega”, 30 Aprile 2021

[5] V. GHENO, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Effequ, 2021; V. GHENO,  L’avventura dello schwa. Solo il capitolo extra della nuova edizione di Femminili singolari, Effequ, 2021

[6] F. ACANDORA, Schwa: una questione identitaria, in “Treccani Magazine”, 21 marzo 2022  https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/1_Acanfora.html

[7] M. GHEZZI, Anche le ragazze leggono, in “Corriere della sera”, 10 marzo 2022

[8] https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/un-asterisco-sul-genere/4018

[9] https://obiettivo2030.it/objective-5; «Obiettivo 5», campus di formazione di Corriere della Sera, in collaborazione con La27ora, Io Donna e Le contemporanee, Roma, 10-12 marzo 2022

Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica e volontaria UNICEF.