La crisi socio-ecologica. Migrazioni ambientali e climatiche

Poco tempo per contrastare il cambiamento climatico

C’è una relazione tra degrado ambientale ed impatto economico, sociale e di sicurezza e pertanto il contrasto al cambiamento climatico, certamente complicato dalle enormi asimmetrie che presentano gli Stati, è una sfida da intraprendere, senza se e senza ma, per favorire integrazione, pace e sopravvivenza nel nostro Pianeta e garantire l’equilibrio globale del sistema, superando gli istinti atavici che ci portano a pensare ‘local’ e a sottovalutare l’’effetto farfalla’[1].

E’ consapevole di dover fare affermazioni un po’ inquietanti sul nesso tra clima, ambiente e società, Grammenos Mastrojeni – docente di Ambiente e Geostrategia in vari atenei, diplomatico di carriera, Segretario Generale Aggiunto per l’Energia e l’Azione Climatica dell’Unione per il Mediterraneo, collaboratore del Climate Reality Project fondato dal premio Nobel per la pace Al Gore -, ma lo fa con lo spirito di invitare all’azione e di aprire orizzonti di speranza[2].

Le acque del Mediterraneo, per esempio, sono quelle che si scaldano più rapidamente del globo, e ciò comporterà 250 milioni di persone soggette a scarsità idrica, a fame d’acqua nel 2050: questo dato basta a dare un’idea della portata di “movimenti forzati”, che nei paesi più fragili vedono intersecarsi i movimenti migratori con il fenomeno della criminalità. Il riscaldamento globale, inoltre, contribuirà ad innalzare le acque del Mediterraneo fino ad un metro alla fine del secolo, con un impatto devastante su alcune città costiere, tra cui ad esempio la nostra Venezia, ma soprattutto sulle aree coltivabili, che nel bacino Mediterraneo sono localizzate maggiormente in prossimità delle coste, basti pensare al fertile bacino del Nilo.

Il lago Aral si è ristretto 13 volte, il lago Ciad 18 volte in quarant’anni con la conseguenza che viene meno un meccanismo di regolazione durato per secoli, che faceva da stabilizzatore e garantiva regolarità al ciclo delle stagioni.

La temperatura sta aumentando molto sul Mediterraneo, ma non ne sono esenti le zone polari: si stanno progressivamente liberando dai ghiacci delle rotte marittime, il famoso passaggio a nord-est e passaggio a nord-ovest., con la conseguenza che parte consistente del traffico nei porti mediterranei non ci sarà più.

Non esiste un solo paese capace di farsi carico dell’intero contrasto al cambiamento climatico, ma gli uni hanno bisogno degli altri; la cooperazione è la base per migliorare tutti, non solo alcuni.

Per rimanere all’esempio delle sponde nord e sud del Mediterraneo, il Sud necessita delle tecnologie dei Paesi del Nord nella preservazione e coltivazione delle specie, mentre il Nord delle specie autoctone del Sud, poiché il cambiamento climatico farà somigliare sempre di più la futura sponda nord a quella sud attuale.

In questo contesto assume un significato rilevante anche  il ‘knowledge sharing’, in quanto al sud hanno quasi 5000 anni di esperienza nella gestione di territori aridi:  edifici millenari a forma di cono, detti yakhchal,  frigoriferi naturali che non consumano alcun watt; canalizzazioni sotterranee dette qanat, che hanno permesso ai persiani di captare l’umidità sotterranea e creare giardini nel deserto; un’edilizia tradizionale che ha sistemi di refrigerazione efficacissimi, a dispendio energetico zero grazie all’azione del vento.

Per la prima volta all’inizio degli anni Novanta Mastrojeni pubblicò le proiezioni di quello che sarebbe successo con i cambiamenti climatici a livello di società. Vide lungo, quando ancora la spia rossa dei problemi non si era accesa. Si è avverato tutto, però per vent’anni è stato guardato come un alieno.

Abbiamo poco tempo ed entriamo in una fase di non ritorno, rischiamo cioè di oltrepassare una soglia cruciale, oltre la quale il degrado si autoalimenta a ritmi sempre più accelerati..

Eco-migrazioni e diritti negati

Si è chiuso da poco a Milano il sipario del Salone del Design, evento di fama internazionale, che si anima ogni anno in tutto il territorio urbano anche di incontri, dibattiti e iniziative culturali e di approfondimento su temi diversi, rivolti non soltanto agli addetti ai lavori.

Da segnalare tra questi Design+Sensibile, esperienza multiculturale nata qualche anno fa e dedicata alla possibile integrazione tra l’uomo e l’ambiente urbano e al miglioramento della qualità ambientale e sociale di un mondo segnato dal fragilismo, in cui l’uomo si sente fragile e anche la materialità smarrisce sempre più l’accezione di solidità e sicurezza e acquisisce quella di fragilità, delicata e vulnerabile.

 “Fragilità. Riflessioni sul nostro tempo”, il contributo di Design+Sensibile per il Salone 2023, ha scelto come icona “Madre Natura”, figura femminile policroma in materiale eco-compostabile di grande impatto visivo (alta 2,10 metri e larga 4), realizzata da Massimo Caiazzo, che si ispira alla filosofia del suo Maestro, Alessandro Mendini, uno dei rinnovatori del design italiano, che ha contribuito all’ascesa del made in Italy nel mondo e ha sempre affermato che la progettazione deve avere a riferimento i grandi temi della vita.

Questa installazione ha introdotto il percorso narrativo sulle fragilità del nostro tempo, dalle sfide a cui la complessità del mondo espone gli adolescenti, all’educazione come diritto di tutti, alla disabilità fisica e mentale, dal degrado del territorio, alla crisi climatica, alle migrazioni, alla violazione dei diritti umani[3].

I temi connessi alla crisi climatica sono stati affidati all’avvocata Veronica Dini[4], che ha chiarito in premessa che crisi climatica è espressione molto più eloquente di quanto non sia cambiamento climatico e che riesce a dar voce nel contempo al fenomeno dei conflitti e delle migrazioni ambientali e climatiche, tracciando i contorni di un fenomeno molto diverso e più complesso di quello di cui sentiamo parlare dai media, grazie ai riferimenti a argomenti correlati, neppure sfiorati nel dibattito pubblico e poco trattati anche in quello scientifico e tecnico.

I numeri e le storie delle eco-migrazioni sono sconvolgenti: nel 2018 oltre 17 milioni di persone hanno abbandonato le proprie abitazioni, pur restando spesso entro i confini del proprio paese, e entro il 2050 saranno 216 milioni i migranti ambientali e climatici.

E non si spostano soltanto le persone, ma intere città: se Giacarta è luogo soggetto a diventare inabitabile per ragioni climatiche, così come le isole Fiji,  la foresta dell’Indonesia è bersaglio di incendi dolosi definiti dall’Agenzia di metereologia, climatologia e geofisica (Bmkg) come un “crimine contro l’umanità di proporzioni straordinarie”. Nel 2015 sono stati rilevati più di 130mila incendi dolosi, che hanno distrutto 2,6 milioni di ettari di foresta e prodotto quasi 2 miliardi di tonnellate di gas serra.

Un’enorme area compromessa per mano dell’uomo, così come le periferie di grandi città, rese inabitabili a causa dell’inquinamento ambientale, una per tutte la discarica di Agbogbloshie ad Acca nel Ghana, la discarica di rifiuti elettronici più grande d’Africa, equivalente per superficie a quasi 16 campi da calcio ricoperti da vecchi dispositivi elettronici. E gli abitanti vengono reclutati per lavorare in discarica, senza rispettarne i diritti e con evidenti conseguenze sulla salute.

In Congo circa l’80% dei bambini e delle bambine non gode dei diritti legati all’infanzia: in condizioni estreme, piccoli di età compresa tra i 6 e i 12 anni estraggono il cobalto, destinato soprattutto alla Cina, insinuandosi in stretti cunicoli per più di dodici ore, lavando le rocce immersi in pozze inquinate, senza alcuna protezione e con salari pari a due dollari al giorno.

A queste situazioni si aggiunge la problematica dei cosiddetti rifugiati della conservazione, comunità indigene vittime di espropriazione con allontanamento coattivo delle proprie terre, per fare spazio a parchi e riserve naturali in India e in Africa, o a allevamenti intensivi in Paraguay, o per un utilizzo a fini privatistici di terre fertili e fonti d’acqua da parte di multinazionali occidentali, come avviene in Sudan e Madagascar.

I fenomeni del landgrabbing e del watergrabbing, ovvero accaparramento di terre e di acqua, hanno effetti devastanti sulle comunità locali: intere popolazioni costrette a spostarsi dalle terre che coltivavano da secoli, vedendo spesso violati i propri diritti fondamentali; acqua sottratta a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi, che vengono depredati e danneggiati. Gli effetti di questi accaparramenti sono con ogni evidenza devastanti.

Siamo di fronte a un fenomeno di portata epocale, quello dei migranti ambientali e climatici, per cui ancora non esiste neppure una denominazione riconosciuta in un testo giuridico, anche se sentenze della Cassazione si sono espresse in materia di riconoscimento della protezione umanitaria di fronte al rischio di vulnerabilità individuale con riferimento alla riduzione dei diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo[5].

Viviamo la crisi del Wasteocene o Scartocene”, o “era degli scarti”, un’epoca segnata dalla continua produzione di persone, comunità e luoghi di scarto, che non riguarda appunto soltanto le cose, ma gli esseri viventi, umani e non, come documenta Marco Armiero, studioso e docente di storia ambientale, direttore dell’Environmental Humanities Laboratory del KTH di Stoccolma, uno dei protagonisti del dibattito accademico e culturale sull’attuale crisi socio-ecologica[6].

Gli scarti non sono solo gli ammassi di plastica e materiale organico che compongono le immondizie delle città, ma rappresentano vere e proprie comunità di esseri umani, di specie animali, di ecosistemi e luoghi sacrificabili e sacrificati, che vanno a formare la cosiddetta “discarica globale”, la quale tiene insieme corpi malati e luoghi contaminati.

Questo lo scenario della vita contemporanea fu descritto con acume da Bauman già all’inizio del Duemila nel suo saggio “Vite di scarto”: “i problemi dei rifiuti umani e del loro smaltimento gravano sempre di più sulla cultura liquido-moderna, consumista, dell’individualizzazione. Impregnano tutti i settori più importanti della vita sociale e arrivano a condizionare le più importanti attività della vita, stimolandole a generare anche loro i propri rifiuti sui generis: rapporti umani nati morti, inidonei, invalidi, o non in grado di vivere, nati con addosso il marchio dell’imminente smaltimento[7]”.

Sulla base dell’”Atlante della giustizia ambientale”, o “EJAtlas” («Environmental Justice Atlas»). ideato e coordinato dall’ecologo ed economista Joan Martinez Alier, tutti i conflitti ecologici in corso nel mondo e le loro espressioni culturali sono visualizzabili grazie a una base dati liberamente accessibile e unica nel suo genere; uno strumento di informazione, documentazione, partecipazione cittadina, che dà visibilità e denuncia fattori di rischio ambientale, aumentando la consapevolezza sulle ingiustizie ambientali a livello globale[8].

La mappa viene aggiornata regolarmente e include conflitti relativi all’energia nucleare, alla gestione dei rifiuti, alla biomassa, all’uso del suolo, ai combustibili fossili, alla biodiversità e al turismo, per citarne solo alcuni. Lo strumento include anche file multimediali come canzoni, striscioni di protesta, video e documentari, che possono rivelarsi risorsa educativa importante per le arti e le scienze umane ambientali.

La continua produzione di persone, comunità e luoghi di scarto richiede difesa, resistenza e contrattacco, capacità di non restare indifferenti e di impegnarsi contro diseguaglianze, discriminazioni e sfruttamenti, per non arrivare a ripercussioni irreversibili sull’equilibrio complessivo del nostro ecosistema.

“Siamo parte di un’equazione dove benessere = sostenibilità = giustizia. E se ce la giochiamo bene, il prodotto di questi fattori è la pace”, afferma Mastrojeni, che esorta a diventare “sostenibili”, per contribuire a disinnescare il tracollo socio-ambientale globale. E per l’Italia, paese ricco di risorse nella prospettiva della sostenibilità, auspica un programma politico che possa farla uscire dalla crisi e ricominciare a volare alto[9]. Se vogliamo contrastare le relazioni socio-ecologiche che procurano profitti e potere a pochi individui a scapito di molti, sono queste relazioni che dovremmo cambiare, attuando una conversione ecologica, come la definisce Papa Francesco nella Lettera Enciclica  Laudato si’[10].

Il Presidente Mattarella, in occasione della Giornata mondiale della Biodiversità, ha ribadito che serve l’attuazione di un’etica ecologica di cura del pianeta e dell’economia del benessere, con un cambio di passo condiviso a tutti i livelli, che consenta un’equa e solidale distribuzione dei benefici che la Biodiversità offre anche con la responsabilità dei piccoli gesti di ciascuno.

Se non per noi, facciamo tutto il possibile almeno per i nostri figli, che ce ne chiedono e sempre più ce ne chiederanno conto.

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/effetto-farfalla_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/. G.  MASTOJENI,  Effetti farfalla. 5 scelte di felicità per salvare il Pianeta, Chiarelettere, 2021

[2] G.  MASTOJENI,  Effetto serra – Effetto guerra. Clima, conflitti, migrazioni: L’Italia in prima linea, Chiarelettere, 2017

[3] https://www.designsensibile.it/

[4] http://www.circola.org/. Le rotte del clima – Crisi climatica e migrazioni: diritti in azione, promosso dal Centro Studi Systasis per la prevenzione e la gestione dei conflitti ambientali e co-finanziato da Fondazione Cariplo,  ricerca – azione che studia la relazione tra le migrazioni di persone e la crisi climatica in atto.

[5] Cass. Civ., 2018, n. 4455; 2021, n. 5022.

[6] M. ARMIERO, L’era degli scarti. Cronache dal  Wasteocene, la discarica globale, Einaudi, 2022. Z. BAUMAN, Vite di scarto, Laterza, 2007.

[7] Z. BAUMAN, Vite di scarto, Laterza, 2007

[8] https://ejatlas.org/

[9] Vola Italia. Ridare le ali a un paese insostenibile, Città Nuova Editore, data di Pubblicazione:  Luglio 2023

[10] https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica