Claudio Imprudente: una laurea speciale

Rimini. Immagini e odori proustiani. Al ponte di Tiberio sono tentato di ordinare una maddalena al posto del caffè. Si è con i colleghi di Bologna, si va a conferire la laurea a Claudio Imprudente. Ecco, coincidenza che mi fa pensare. Claudio Imprudente¹, mio amico su Facebook; non ricordo perché e come siamo diventati “amici” di rete, non ne ho molti. Evidentemente condividiamo idee. Claudio Imprudente², quello per cui votammo all’unanimità, in Consiglio di Facoltà, la laurea ad honorem proposta da Andrea Canevaro. Be’, ecco, scopro che sono lo stesso, che ce n’è uno solo, Claudio Imprudente e basta, senza indici. Qui sta tutta la chiave di lettura della lezione esistenzialista: l’unico, l’unicità del Dasein, il capitare qui e ora, a Rimini ad esempio, e all’opposto l’ansia metafisica, dell’infinito essere che ci sfugge. Meglio, molto meglio uno solo, la monade Claudio, senza finestre, rappresentazione dell’intero universo; cui corrisponde un’antitipia che ha come unica finestra una tavoletta trasparente, con i simboli del linguaggio umano.

La liturgia del rito è quella ufficiale, che incute timore. C’è tutto il senso del cattolicesimo nella efficacia della liturgia: qui riposa la differenza con il protestantesimo, la forma che non può mai disaccoppiarsi dalla sostanza, nel rito corretto; è il retaggio formalistico, mai disgiunto da quello essenico/intimistico. Quante volte avrò messo la toga? Eppure qui è tutto diverso, nelle proclamazioni di routine te la infili da solo e via, qui anche la vestizione è un rito, il sistema operativo del cervello comanda il NO-OP, no operations, mentre altri provvede. Il rischio è quello della commozione per il rito in sé.

Bastano le prime parole di Claudio a dissipare il formale e ad aprire la strada al dialogo e all’interazione, alla “sym – pathia”, il sentire insieme: “Sono emozionato, e così oggi balbetto”. Il riso, questo altro grande mistero; forse ha ragione Bergson, il riso è la trasgressione dell’ordine naturale degli eventi, è la sorpresa per ciò che non ti aspetti. L’ufficialità può ora convivere con la simpatia, senza esserne sminuita.

Interrompe, Claudio, la lettura della lectio magistralis; sempre a proposito, a volte in modo profondo, pensoso, altre sul registro dell’ironia: “Che disgrazia, signora!”. “Perché, che cosa è successo?”. Vabbe’, ridiamo, e pensiamo insieme; ma è un “insieme” ambivalente, in cui si addensano due semantiche: il ridere e il pensare insieme, come il parlare e il lagrimare di Ugolino, e il farlo insieme tutti noi e Imprudente. Insieme, cantorianamente, come atto unico del nostro intelletto, non solo dell’intelletto privato, individuale, ma anche dell’intelletto attivo, comune, sociale, immortale, atto puro in cui tutta la dynamis si farà energheia, il telos ultimo del genere umano.

Ritorniamo sulla terra. Anche il Magnifico Rettore ha i suoi impedimenti di comunicazione: in una cerimonia perfetta, curata fin nei particolari, ecco che il microfono si ribella; niente da fare, non ne vuole sapere; nemmeno quello di Guerra e Canevaro, nemmeno quello dello speaker, nessun microfono vuole andare. Che sia la rivolta dei microfoni? E allora il Rettore si ricorda di essere il prof. Dionigi, e se la cava benissimo parlando al naturale, la cultura umanistica se la cava ancora di fronte alla ribellione della tecnologia. Meno male. Dionigi parla di manthano, imparo; mi viene in mente che da lì viene anche “matematica”: tra i pitagorici, gli acusmoi potevano solo ascoltare, i mathematicoi erano ammessi alla presenza del maestro, a “imparare”, e, persino, ma eccezionalmente, a parlare. E così noi tutti impariamo, insieme come dicevo, una lezione grande, perché di vita.

Nel collegamento filologico tra magister e minister si insinua un pensiero triste; no, non è il rimpianto per quando un maestro aveva due ministri: sinceramente non saprei che farmene; di ‘sti tempi poi… È piuttosto che mi tocca pensare che questa laurea si è avuta, in fine, malgrado il ministro. Verranno tempi migliori, a un po’ di cicuta siamo abituati da tempo; certo, non per noi, intesi come intelletto passivo, come in-dividui; ma come quell’altro noi, il telos.

Ecco, è finita, vado a salutare Claudio. “Ti ho scritto ieri su Facebook”. “Ho visto, grazie”. “Su Facebook ci diamo del tu; be’, ora anche qui: fra dottori”.

Per approfondire:
• Il servizio televisivo sulla laurea a Claudio Imprudente
• La lectio magistralis di Claudio Imprudente

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Foto di Giulia Jaculli.

Maurizio Matteuzzi